Game Of Thrones6×06 Blood of My Blood

I rapporti famigliari al centro di questo episodio di Game of Thrones, che tesse la tela per importanti eventi futuri. L'assetto geopolitico di Westeros riacquista importanza, con diversi graditi e sgraditi ritorni. Gli sceneggiatori spaziano e privilegiano la globalità della narrazione e lo sviluppo dei personaggi all'effetto shock e alle scene d'azione, realizzando un episodio interessante nonostante l'assenza di quasi tutti i personaggi di punta.

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Dopo l’emozionante finale  di The Door – e nonostante la fuga rocambolesca di Bran e Meera – negli ultimi episodi di questa stagione di Game of Thrones – Il Trono di Spade si è forse raggiunta la dose di saturazione di dramma e lacrime. Ed è proprio per questo motivo che questi ultimi 50 minuti vengono sfruttati come prezioso collante per gli eventi futuri, spostando il focus dalla missione di Jon Snow e dalla diplomazia di Tyrion Lannister agli sviluppi di King’s Landing e degli altri punti caldi – anche climaticamente – di Westeros ed Essos.

Il Nuovo Corvo

Prima di andare a sud è necessario mettere ordine alla precaria situazione di Bran e Meera, persi nella tormenta e ancora inseguiti dai white walkers. Tralasciando il lato action della loro fuga, sicuramente fatto meglio rispetto al lungo corridoio di “The Door”, il punto cardine è l’evoluzione delle visioni di Bran: oltre ad essere un colpo al cuore per le immagini drammaticamente familiari, vediamo frammenti riguardanti il re folle Aerys Targaryen. Il collegamento così diretto ad eventi non narrati linearmente durante i passati episodi potrebbe non essere del tutto casuale, e lascia spazio ad alcune teorie sul ruolo di Bran come parte attiva nella pazzia del vecchio re di Westeros.

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Dulcis in fundo, ricompare Benjen Stark in grande stile: lo davamo per morto – o peggio, per non-morto – ma il sospetto di fondo era che avrebbe avuto un giorno un ruolo determinante per gli eventi al di là della Barriera. Il suo arrivo è a tutti gli effetti un deus ex machina, ma rientra perfettamente in quello che potrebbe essere il grande disegno voluto per Bran Stark, il nuovo e inesperto Three-Eyed Raven.

Fede, Potere e Onore

Tanto rumore per nulla. Doveva assistere una carneficina e la testa dell’High Sparrow doveva rotolare giù dalle scale della Baelor Sept, e invece niente. Non è chiaro se quella di Margaery sia una bella recita per proteggere Loras o se sia reale ravvedimento spirituale, merito anche delle doti di meta-recitazione di Natalie Dormer, ma il risultato non cambia: il piano di Cersei e Olenna va a rotoli e a farne le spese è Jaime, spedito nelle Riverlands a risolvere lo spinoso affare di Blackfish e della riconquista di Riverrun.

Tutto pare concentrarsi nell’area di dominio dei Tully, con Brienne in arrivo da nord, Jaime da King’s Landing, Edmure Tully e gli uomini dei Frey da The Twins. Questo segmento di trama si prepara probabilmente ad esplodere nei prossimi episodi, vista l’enorme convergenza di fazioni contrastanti, e contiene alcuni riferimenti ai romanzi di Martin finora ingiustamente ignorati: la missione di Jaime, il viaggio di Brienne, ma soprattutto il possibile ritorno della Brotherhood Without Banners e di un personaggio la cui ricomparsa è attesissima soprattutto dai lettori.

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In aggiunta alla significatività degli eventi messi in moto, anche le parole di Cersei catturano la nostra attenzione: suo fratello Jaime non ha riguadagnato onore dal suo ritorno a King’s Landing, le sale del castello di Tommen non fanno per lui e lo sviluppo del suo personaggio, finora parecchio manchevole, potrà finalmente trovare nuova linfa vitale proprio uscendo dai domini della Corona.

Verso Casa

Avevamo lasciato Samwell e Gilly in crociera verso Horn Hill, e i presentimenti sulla sorte dell’amante di Sam una volta conosciuta l’allegra famiglia Tarly non erano tanto lontani dal vero. Lo spaccato del background famigliare di Samwell è piuttosto impietoso, in una versione di “Ti Presento i Miei” tutt’altro che comedy, con il monito severo di Randyll Tarly ad evitare i carboidrati, se non si vuole finire come il figlio.

La storyline del futuro Maester è forse quella meno interessante, non riuscendo per il momento a collocarla con precisione nel quadro geopolitico di Westeros, ma è almeno strumentale alla comparsa di una delle armi di acciaio Valyriano sparse per il continente: Heartsbane, rubata dallo stesso Samwell a sfregio del padre, potrà avere un ruolo fondamentale per la lotta contro i white walker al pari di Longclaw, usata da Jon Snow nello spettacolare “Hardhome”.

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Restando in tema di personaggi sulla strada di casa, anche Daenerys è in viaggio verso Meereen, pronta a riprendersi il trono. Il segmento di per sé è l’ennesimo inutile sfoggio di determinazione e potere da parte della Mother of Dragons, con draghi modellati e animati da una CGI parecchio approssimativa – non siamo tuttavia ai livelli di Streghe o di Once Upon a Time – e la cui unica parte utile è la necessità di imbarcazioni per far attraversare il Narrow Sea a tutto il khalasar. In “The Door” Euron punta volontariamente a Daenerys, in “Blood of My Blood” è palese il richiamo di Daenerys al nuovo Re delle Iron Islands, con il loro incontro sempre più vicino.

No One?

Arya Stark, lontana da guerre e manovre politiche, porta a questo episodio di Game of Thrones lo sviluppo più interessante e meglio ponderato. La sua missione procede incerta, mentre continua a osservare la compagnia teatrale la cui attrice di punta rappresenta l’obiettivo. La messa in scena dell’avvelenamento di Joffrey e il dialogo con l’attrice fanno deragliare i propositi della protagonista: la simmetria tra le psicologie di Cersei e Arya gioca un ruolo determinante, noi spettatori – ma soprattutto la stessa Arya – capiamo che i loro atteggiamenti verso la perdita di persone a loro care non sono molto diversi (il cambio di espressione alla vista di Faux-Cersei disperata è il momento cruciale), ma soprattutto che Arya non potrà mai rinunciare alla propria identità: è e sarà sempre legata alle sue questioni in sospeso, non potrà mai diventare No One. Needle, nascosto nella scorsa stagione nella puntata “High Sparrow”, viene dissotterrato: forse la ragazza si unirà alla compagnia teatrale, ma prima Waif va definitivamente sistemata.

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Il comune denominatore di “Blood of My Blood”, scavando sotto la superficie, è la famiglia, e i legami di sangue. Bran ha trovato Benjen, i rapporti tra i Lannister sono in discussione, quelli tra i Tarly non ci sono mai stati, mentre Arya ritrova dopo molto tempo il legame con la sua famiglia. Un episodio da 4 porcamiseria su 5, che non ha bisogno di pezzi forti per godere della sua autonomia, senza Jon Snow o Tyrion Lannister ma comunque interessante e ben diretto. Gli sceneggiatori di Game of Thrones scelgono di guardare alla globalità degli scopi dei personaggi, lasciando per una volta da parte l’effetto shock e l’azione hollywoodiana e trovando posto per personaggi all’apparenza secondari, ma in realtà determinanti tanto quanto gli altri.

4

 

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