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Il cinema oggi è sempre più debitore al piccolo schermo: le grandi saghe (e non solo) tradiscono un'influenza delle serie TV ormai evidente. La rivincita della sorella minore passa però da un'emancipazione ottenuta copiando dal grande schermo, in un circolo virtuoso che delizia i sostenitori dell'uno e dell'altro medium.

Qualche mese fa, cercando di tratteggiare le dinamiche dietro alla rivoluzione che Netflix ha inaugurato nel sistema mediatico, avevamo marginalmente accennato a quella che sempre più appare come un’evidenza: l’inversione dell’influenza tra cinema e serie TV.

Quella che stiamo vivendo è senz’altro l’epoca d’oro della narrazione televisiva, in cui gli autori e gli attori fanno a gara per avere un ruolo all’interno della macchina produttiva seriale, ma non è sempre stato così, anzi. Molte personalità dello spettacolo hanno faticato non poco, in passato, per liberarsi della pesante eredità di ruoli televisivi. George Clooney, Robin WilliamsBruce Willis sono solo alcuni tra i tanti che si sono fatti largo dal piccolo schermo fino al grande per non guardarsi indietro.

La tendenza oggigiorno è invertita e le grandi star sembrano prestarsi più che volentieri a questi passaggi televisivi (basti ricordare l’intero cast di di protagoniste di Big Little Lies Fargo, Peaky Blinders, Penny Dreadful). Questa in realtà è solo una delle manifestazioni più evidenti di un fenomeno che gradualmente si è strutturato negli ultimi anni: la serializzazione del cinema.

Prima di arrivare a questo punto, però, la televisione ha dovuto costruirsi uno status. Al fratello maggiore la TV ha sempre guardato con una certa reverenza, ammantandolo quasi di un’aura sacrale che un motivato (almeno fino a una trentina d’anni fa) complesso d’inferiorità ha contribuito a rendere sempre più distante. Con l’avvento dell’autorialità televisiva (David Lynch, Joss Whedon, Aaron Sorkin e Chris Carter, per citarne alcuni) a poco a poco la narrazione si è fatta più complessa, nei contenuti e nelle forme, con una progressiva cinematizzazione delle serie. 

Gli show televisivi si sono appropriati anzitutto dell’estetica cinematografica adattandola alla forma episodica, recependo regia, fotografia, montaggio e musiche che andarono a stravolgere completamente gli standard relativamente piatti della produzione seriale di allora.

Contestualmente a forma e contenuti, la serialità televisiva ha fatto suoi anche i generi cinematografici, con un dispendio di forze e mezzi per garantirne una struttura solida: è il caso, tra tutti, dell’horror (American Horror Story, Ash vs. Evil Dead, Penny Dreadful, The Walking Dead), dei fumetti e del fantasy – l’immarcescibile Game of Thronesriconosciuta da più parti come la più cinematografica delle serie TV, The Shannara Chronicles e il prossimo The Lord of the Rings, la cui trasposizione televisiva è piuttosto indicativa su dove stia soffiando il caldo vento delle banconote fruscianti. 

Questo processo di mimesis mediatica è continuato fino a non molti anni fa, quando la significativa presenza di prodotti di qualità nel panorama televisivo non ha cominciato a correre parallela a quella cinematografica, ri-orientando i produttori. Nella più banale delle interpretazioni marxiste, dove ci sono soldi ci sono idee e la TV ha cominciato ad essere sempre più autonoma, nelle storie e nelle forme, ormai assimilate dagli spettatori come standard quotidiano/settimanale, più presente quindi di quello cinematografico. Che non ha avuto altra scelta se non adattarsi e sbirciare l’operato della sorella minore.

La serializzazione del cinema parte da qui, da quell’uso graduale del sequel e/o degli spin-off  e/o dei crossover in un’ottica non autoconclusiva. È vero, al cinema i seguiti esistono praticamente da sempre, così come non è originale l’idea della trilogia come arco narrativo aperto/chiuso; eppure nell’ultimo decennio le pellicole hanno abbracciato un tipo di serialità più complessa, che lega in maniera meno autonoma i film che fanno parte del medesimo universo narrativo; una serialità, per l’appunto, televisiva, che passa anzitutto per la produzione.

Kill Bill è stato girato tutto insieme, dividendo successivamente i due episodi che lo compongono: una mini serie fatta di capitoli, simili a episodi, che porta all’evoluzione del personaggio e alla chiusura delle storyline solo nella seconda parte. Un discorso simile può essere fatto per il recente Loro, il film di Paolo Sorrentino sulla vita di Berlusconi, distribuito in due parti nelle sale. Una scelta che sicuramente riflette più le intenzioni dei produttori che non le reali esigenze del film, ma che dà modo comunque, nella sua costruzione, di vedere all’opera i meccanismi televisivi sul grande schermo, dove i riferimenti alla prima parte della pellicola trovano senso nella seconda, in una concatenazione che acquista unità nella suddivisione.

Un discorso a parte meritano le pellicole tratte dai libri, giacché letteratura e serialità sono vincolate da secoli di commistioni, dove la prima ha completamente domato i meccanismi della seconda

Partendo da questo presupposto, hanno vita facile quelle saghe che sul grande schermo hanno trovato la consacrazione: Il Signore degli Anelli, Harry Potter e i vari universi distopici che spopolano al cinema negli ultimi anni hanno già il vantaggio integrato della serialità nel DNA cartaceo, cosa che li rende particolarmente adatti a pellicole episodiche; ciò non toglie che dalla TV si possa ancora ricavare qualche elemento fruttuoso, come l’idea dello spin-off nel caso di Animali Fantastici e Dove trovarliuna vera e propria nuova serie tirata fuori da un (quasi) vuoto letterario.

La sintesi più efficace di questo processo di serializzazione è senza dubbio il Marvel Cinematic Universe, che parte anch’esso da una controparte cartacea in simbiosi con la serialità, ma ricostruito sul grande schermo esattamente secondo la struttura degli show televisivi a puntate (forma, trama, personaggi). Inaugurato 10 anni fa con la pellicola Iron Manl’MCU oggi conta 19 film e si appresta a chiudere la terza fase (stagione?) del suo ciclo. Come è stato fatto notare altrove, il fulcro di questo universo è il personaggio di Tony Stark, da cui tutto è partito e che rappresenta il trait d’union di ogni pellicola, fino ai diversi finali di stagione demandati ai crossover (un espediente fumettistico ripreso però secondo una struttura televisiva) degli Avengers.

Nell’arco di questi 10 anni Tony evolve coerentemente con le premesse e gli eventi che lo cambiano, mostrando un disegno ben chiaro nella testa degli autori: si tratta di una caratterizzazione impensabile per un arco di tempo limitato quale è quello dello schermo cinematografico (anche nell’ottica di una trilogia), ma nettamente mutuata dalle dinamiche autoriali televisive, prospettate su tempi narrativi e cronologici più lunghi. Sullo stesso piano probabilmente si sta muovendo l’universo espanso di Star Wars, che non a caso può contare (come l’MCU) su un validissimo comparto televisivo di spin-off.

Infine, dobbiamo evidenziare al riguardo altri due aspetti non del tutto marginali: il primo riguarda la promozione di alcuni degli show televisivi più famosi, che ha raggiunto livelli di copertura al pari, se non superiore, di quelli dei blockbuster più acclamati; il secondo invece la dice lunga sulla vicinanza ormai tangente tra i due media. Impossibilitati a produrre un’ulteriore batteria di episodi e quindi di dare un’ultima stagione a una serie, i network ricorrono sempre più spesso a una soluzione alternativa, un maxi episodio di due ore che altro non è se non la concreta evidenza dell’incontro all’infinito tra le due rette parallele cinema e TV.