SpecialiReboot, remake e sequel: è crisi creativa nel mondo delle serie tv?

Gli Upfronts dei vari network televisivi hanno confermato un trend già in voga da alcuni anni, e quest'autunno ci troveremo in un'esplosione di reboot, remake, sequel e revival di vecchi show. C'è crisi creativa in quel di Hollywood o forse, più che le idee, a mancare è la voglia di rischiare?

Mentre i più fortunati di voi sono in qualche spiaggia del Sud Italia ad abbrustolirsi al sole e a mangiare spaghetti allo scoglio come se tutti i frutti di mare dovessero estinguersi domani, qui a SerialFreaks stiamo fremendo per l’arrivo della nuova stagione. Tante cose da fare, tante novità sul sito che vedrete a partire da settembre, ma soprattutto tantissime serie da seguire: già, perché facendo un rapido calcolo, solo tra settembre e ottobre ne partiranno circa trentacinque, e questo solo contando le serie da noi recensite. Quello che ci è saltato subito agli occhi, però, durante la presentazione dei nuovi palinsesti autunnali, è che pare non placarsi la tendenza al riciclo, con vecchi show riportati a galla con improbabili sequel, o rifatti da zero adattandoli al mondo moderno tramite reboot o remake, o addirittura con il porting di film di successo sul piccolo schermo.

La tendenza non è solo televisiva, ovviamente: anche al cinema si sta assistendo a un processo simile. Ma forse per i tempi necessariamente più rapidi e per le news più numerose e a stretto raggio, nell’ambito televisivo la moda del remake colpisce un po’ di più.

L’anno scorso abbiamo visto tornare X-Files con un sequel diretto dell’ultima stagione; abbiamo visto il ritorno di Heroes con una serie a metà tra il sequel e lo spin-off (Heroes Reborn, già cancellata) e l’approdo di Minority Report e Limitless dal cinema alla tv. Quest’anno, similmente, arriveranno MacGyver, The Exorcist, The Rocky Horror Picture Show, Lethal Weapon, 24: Legacy e Prison Break, per non citare il ritorno di Gilmore Girls e quell’enorme elefante nella stanza che è Twin Peaks. Cioè, non vi sembrano un po’ tantini?

reboot x-files season 10

La domanda che ci siamo posti in sede di valutazione degli Upfronts (non per nulla erano quasi tutti rossi) e che, ora che stiamo programmando la nuova stagione, è tornata prepotentemente alla ribalta è questa: c’è davvero una crisi creativa a Hollywood e, più nello specifico, nel mondo delle serie tv?

La risposta, come spesso accade, non è univoca. Anche nel nostro sondaggio su Twitter il risultato è stato altalenante, anche se con una netta predominanza di chi davvero non ne può più. Ci ho pensato molto, e sono giunto a una conclusione (poi mi direte nei commenti se siete d’accordo o meno): non c’è nessuna crisi creativa, ma sulle idee originali c’è poca voglia di rischiare.

In un periodo storico in cui gli introiti pubblicitari televisivi sono al minimo (salvo eccezioni colossali come il SuperBowl o, da noi, il Festival di Sanremo) i grandi network puntano comprensibilmente sul sicuro. Uno show già esistente, specie se considerato cult, ha già un’enorme fanbase senza bisogno di crearla da zero, impresa che sarebbe decisamente più complessa. Per quanto l’idea per una nuova serie possa essere valida, c’è bisogno di tempo – e di tante risorse investite in marketing – perché “attecchisca” e faccia presa su un pubblico già bombardato da un’infinità di show diversi. Puntare invece su un nome già conosciuto garantisce dati di ascolto alti fin da subito, se non altro per la curiosità almeno dei fan di vecchia data che accorreranno a vederlo spinti dalla nostalgia o dalla voglia di vedere nuove avventure dei propri personaggi preferiti. Nell’ottica dei network televisivi, per esempio, non ci sarà tantissima gente attratta una nuova serie basata su due agenti segreti che indagano su fenomeni paranormali; ma se quei due agenti si chiamano Fox Mulder e Dana Scully e la serie è un sequel di The X-Files, ecco che il pubblico potenziale aumenta esponenzialmente. Certo, il rischio di mandarla in vacca c’è sempre, ma è un rischio notevolmente più accettabile rispetto allo spendere milioni per una serie originale che poi, magari, otterrà ascolti bassi fin dal pilot.

gilmore girls revival

È un po’ la stessa mancanza di coraggio che ritroviamo nella tipologia delle nuove serie che ci vengono proposte: un grosso proliferare di procedurali a discapito di serie con una forte trama orizzontale. Per queste ultime è più difficile acquisire nuovo pubblico durante le settimane di messa in onda, e un network spesso non se la sente di assumersi tale rischio, finendo per relegare questo tipo di show alla midseason o a miniserie da poche puntate.

C’è inoltre da considerare anche il fattore anagrafico. Il target di molti network americani si aggira grossomodo sulla fascia dei giovani adulti, quelli che vanno dai 25 ai 40 anni, e guardacaso le serie che subiscono remake o reboot sono quelle che tiravano parecchio durante l’infanzia/preadolescenza di tale target. Altrettanto casualmente, il cambio generazionale all’interno dei team creativi ha portato la stessa fascia demografica ad essere anche l’autrice di tali show, e naturalmente – per tutta una questione di influenze, di ricordi, di esperienze – tali autori si ritrovano a pescare a piene mani da un’immaginario che arriva direttamente da quel periodo.

In tutto ciò, operazioni di questo tipo non sono per forza il male assoluto. C’è ancora tantissima gente che semplicemente ama rivedere i vecchi show (Netflix e le altre piattaforme di streaming in questo aiutano tantissimo) e che quindi, lontana dalle logiche del “Nulla sarà mai come il prodotto originale” (vedi alla voce Ghostbusters), è più che disposta a vedere quelle stesse serie in una nuova incarnazione, purché questa ne rispetti i principi di base e, soprattutto, abbia ancora delle storie da raccontare.

In sostanza, ben vengano i ritorni di fiamma, ma i network televisivi si dovrebbero rendere conto che la qualità conta più della quantità e, alla fine, anche del nome che una serie si porta dietro: è difficile che il pubblico non si accorga – quantomeno nell’ambito reboot/remake – se il prodotto ha alle spalle idee valide, qualità produttiva e solidità di scrittura, o se invece si tratta di una mera operazione commerciale fine a se stessa.