SpecialiIl popolo della Famiglia in TV: tradizionale o disfunzionale?

No tranquilli, quello che state per leggere non è un Freakout di sostegno al movimento di Adinolfi, quanto piuttosto una digressione sull'evoluzione del modello di famiglia proposto dalle serie TV nel corso dei decenni, che vede un netto cambiamento rispetto al prototipo di famiglia perfetta tanto in voga negli anni '80.

Il dibattito sul tema della famiglia, le accese diatribe tra coloro che strenuamente difendono il concetto di famiglia tradizionale e coloro che invece si battono per il riconoscimento di una nuova definizione di famiglia, basato unicamente sul concetto di amore, di qualunque forma esso sia, tengono ormai banco da decenni tra i trattati di sociologia e le aule parlamentari di tutto il mondo. E la televisione, sempre più specchio della società, non può che offrire anch’essa la sua visione su un tema così importante.

Le serie incentrate sulla famiglia – drama o comedy che siano – non sono certo una novità, esistono da sempre e in un certo senso è un genere quasi immarcescibile: a voler essere cinici, è un genere furbo, che raccoglie un target smisurato, trasversale, che riesce a raggiungere tutti, in maniera uniforme grazie ad un buon mix di tematiche adulte e giovanili, nonché alla capacità di toccare quei nervi scoperti propri di ogni famiglia.

Freakout famiglia

Tornando però al concetto di famiglia e analizzando l’evoluzione del genere, non si può fare a meno di notare un certo trend – anche nelle generaliste – che vedono un certo modello di famiglia tradizionale spodestato da un modello che invece protende per una famiglia più allargata, sempre più problematica e/o disfunzionale, fino a sfociare ovviamente a modelli di famiglie omogenitoriali o poliamorose. Ma a cosa si deve questa tendenza? Alle lobby gay? A complotti di non si sa bene quale organizzazione segreta? Noi pensiamo che sia più dovuto ad una diversa esigenza del pubblico, che non accetta più l’imposizione di un modello idealizzato e perbenista cui inutilmente aspirare, ma che vuole piuttosto identificarsi con un modello più aderente alla realtà e a passo con i tempi.

Fino agli anni 2000 il modello predominante nella serialità generalista statunitense rimane quello tradizionale: genitori uniti da un amore solido, un discreto numero di figli con problematiche mai troppo serie, tutti rigorosamente bianchi e cristiani. E se la mente va subito a 7th Heaven non è un caso: sebbene sia un prodotto che vede la luce nel 1996, la famiglia Camden incarna lo stereotipo perfetto di family drama vecchio stampo, che metteva in scena le dinamiche di una famiglia fastidiosamente perfetta, con episodi incentrati a condannare qualsiasi cosa uscisse fuori dall’ordinario, dal divorzio al sesso prematrimoniale passando anche per l’alcolismo, la cui accezione includeva anche una semplicissima sbronza. Prima ancora dei Camden, potremmo ricordare La Famiglia Bradford (Eight is enough), Casa Keaton (Family Ties), i mitici Cunningham di Happy Days e anche – seppur in costume – La Casa nella Prateria (Little House on the Prairie).

Freakout famiglia

Anche in quegli anni esistevano comunque dei modelli divergenti da quello dei Camden, basti ricordare il clan de I Robinson (The Cosby Show), simbolo di una certa fascia afroamericana del ceto abbiente, allora significativo di un forte cambiamento sociale e culturale. Il colore della pelle doveva essere però solo un manifesto nell’ottica perbenista americana: i problemi legati alla questione razziale lambirono solo occasionalmente le vicende del clan, totalmente equipollente al rassicurante modello bianco, che si barcamenava per lo più tra problemi di vita quotidiana e scontri generazionali tipici di ogni famiglia. Più eccezionali invece i modelli proposti da altre due serie dell’epoca: Party of Five, incentrata sulla vita dei fratelli Salinger dopo la morte dei genitori, guidati da un allora giovanissimo Matthew Fox, e la tristissima Life Goes On, una delle prime serie a portare sugli schermi temi come la sindrome di Down, sieropositività e AIDS.

Se volessimo però identificare una serie dopo cui intravedere un’inversione di tendenza al modello di famiglia tradizionale, senza dubbio indicheremmo Six Feet Under. L’impareggiabile ancor oggi family drama di Alan Ball datato 2001 propone un modello familiare nuovo, non solo per la singolare natura dell’attività di famiglia – i Fisher erano impresari funebri – o per l’omosessualità di David, quanto più per la novità rappresentata in termini di dinamiche familiari, intrise di dolori, tensioni, contrasti e ovviamente il tema della morte e il rimpianto per ciò che si è perduto che permeano l’intera serie.

Da Six Feet Under a seguire, la famiglia inizia ad aderire sempre più fedelmente alla realtà: un insieme di persone sì legate da un affetto profondo, ma le cui dinamiche sono tutt’altro che semplici e scevre da tensioni. Le differenze individuali iniziano ad avere un peso sempre più significativo nell’economia delle storie e nei fragili equilibri, e anche il concetto di nucleo familiare viene sensibilmente esteso, non limitandosi più al classico ensemble di genitori e figli rigorosamente non sposati. Non possiamo non citare ad esempio gli Walker di Brothers & Sisters che portano in scena la solidità di un clan familiare che riesce a volersi bene nonostante le differenze di vedute politiche e che propongono anche uno dei primi esempi di famiglia omogenitoriale – quella di Kevin & Scotty. Più tradizionali forse, ma non meno problematiche certo, le vicende del clan dei Braverman di Parenthood, fino ad arrivare alla disfunzionalità ai limiti dell’assurdo dei Gallagher di Shameless. E ancora differente è la famiglia multietnica proposta dalle recentissime This Is Us con la sua dose settimanale di lacrime amare e Here and Now, intrisa di un fin troppo forzato esistenzialismo. Entrambe le serie si focalizzano sulle difficoltà di una famiglia di creare un suo proprio equilibrio senza cancellare il retaggio culturale delle origini di ciascuno dei suoi componenti e senza minimizzare viceversa i problemi creati delle reciproche diversità.

Freakout famiglia

Sebbene la natura comedy ne alleggerisca per forza di cose i toni, non possiamo non parlare di modelli familiari senza citare una serie che fa del suo voler abbattere le consuetudini la propria bandiera: Modern Family. I tre nuclei che compongono il clan dei Pritchett rappresentano la sintesi di quanto detto finora: famiglia tradizionale, allargata, multietnica e omogenitoriale che convivono tra loro grazie solo all’amore che li lega. Ed è questo forse il pregio più importante della serie, più della sua vena comica che resiste nonostante l’avvicendarsi delle stagioni.

E, se state pensando che in questo panorama non ci sia spazio per le relazioni poliamorose, vi sbagliate di grosso. Poligamia e relative dinamiche familiari, condizionate dall’inevitabile confronto con le norme sociali nonché giuridiche, venivano già messe in scena dalla serie Big Love nel 2006, per poi venire riprese in maniera molto più leggera dalla recente You Me Her prodotta da Netflix.

Freakout famiglia

Per chiudere questa nostra digressione sul tema della famiglia e della sua rappresentazione nelle serie televisive, vogliamo dare anche uno sguardo alla nostra Italia, sempre giudicata fin troppo bacchettona in questo senso. Senza addentrarci nella pletora di fiction/serie prodotte dalle nostre reti generaliste e focalizzandoci su due prodotti di successo – nel bene e nel male – della nostra serialità, la famiglia italiana non è forse poi così perfetta. La famiglia di Giulio ne I Cesaroni è di fatto risultato della fusione dei nuclei familiari di Giulio e Lucia dopo i loro primi matrimoni, mentre la famiglia Martini (di Un Medico in Famiglia), nonostante un inizio piuttosto in stile Mulino Bianco, è adesso così allargata che ci risulta difficile anche solo pensare ad un corrispettivo oltreoceano.

Qualunque sia il vostro pensiero a riguardo, speriamo di aver suscitato un minimo spunto di dibattito, nonché avervi dato qualche interessante suggerimento nel caso vogliate recuperare qualcuna delle serie citate. Vi lasciamo con una piccola citazione, tratta da Brothers & Sisters, in cui si sottolinea l’importanza delle differenze, e dell’amore che ci lega nonostante – e, forse, anche grazie a – queste. E di come, in realtà, il concetto di famiglia può essere esteso a quello di una nazione intera:

Robert: And I think America’s looking for someone who knows the difference. And the only way to do that is by listening… not antagonizing. My future in-laws are very different from me. And different from each other, so they are by definition my greatest asset… because they remind me that we are all part of a larger American family and that no one is irrelevant and no one should be ignored. And Luther, I think the bigger question is not why I feel a part of them, but why you don’t.