Fear The Walking DeadSeason 3 Recap: Toglieteci tutto, ma non la nostra acqua

Season Recap Alla fine della terza stagione, i nostri eroi sono ormai radicalmente inariditi dalla lotta estrema alla sopravvivenza e per conquistarsi l'ultima goccia d'acqua, un'impresa che metterà a dura prova ogni loro sentimento e capacità.

8.1

Ci si abitua a tutto, dicono, anche al peggio. Anche all’apocalisse vera e propria, alla distruzione totale delle certezze e del mondo in cui eravamo abituati a vivere. Sono passate due stagioni e quel che rimane della compagnia originale di Fear The Walking Dead si è trasformata progressivamente e inesorabilmente, oltre ad essersi necessariamente decimata. Se da una parte sembra che vivere nella morte sia quasi banale e scontato, o almeno è quello che vogliono farci credere e di cui i protagonisti stessi vogliono convincere se stessi, quando riemerge la più nascosta e inconscia parte dell’essere umano, vengono a galla anche i pensieri e i pentimenti più profondi. Ogni morte, causata o subita, assedia la mente di Madison mentre rischia l’annegamento dopo l’ultimo, micidiale colpo di scena al termine della terza stagione. Ha ucciso persone, per dovere o per paura; ha perduto affetti, per sfortuna e con l’inganno.

Il messaggio di questa stagione rende definitivo e cristallino quanto si poteva intuire dallo svolgimento degli eventi man mano che la storia procedeva: il ritorno a uno status primitivo dell’uomo, a un “tutti contro tutti” da cui a volte sono esclusi i membri del proprio nucleo famigliare, a volte nemmeno loro. Da una parte i Clark, tanto distanti quanto uniti, sempre in prima linea per aiutare il prossimo e infilare piccozze nel cranio dell’ennesimo non-morto che si presenterà. Fino all’estremo gesto del sacrificio di Nick, pur di eliminare la feccia da un mondo che forse non ha più comunque nulla da perdere, ma con la volontà di salvare i propri cari dal male.

Dall’altra gli Otto, così irreprensibili, moralisti e incorruttibili di facciata, così divisi e affettivamente disastrati nel profondo. Una famiglia che ha cercato di salvare una comunità di famiglie dalla follia del mondo al di là della cancellata del loro territorio per mezzo di altrettanta, folle ottusità, al limite dell’estremismo tipico di una setta. Una famiglia che si è distrutta da sola, volente o nolente, per mano dei Clark, in una sorta di vorticoso simbolismo e richiamo biblico in questa storia di persone che si annientano tra di loro accecate dalla pazzia e dal primitivo istinto di sopravvivenza in un mondo che sembra non poter più promettere fecondità e vita nuova.

Una fiamma di amore e di speranza nell’oscurità della perdizione umana

Questa terza stagione mette tanta carne al fuoco, da un punto di vista di metafore e simbolismi, alcuni malcelati, altri posti in maniera più sottile e delicata. Partendo con l’analisi più diretta e intuitiva, si nota come ogni tentativo di cominciare nuove relazioni spontanee, sincere e basate sull’amore senza secondi fini sia ormai vano. Alicia e Jake potevano essere una fiamma di amore e di speranza nell’oscurità della perdizione umana, ma il loro rapporto è freddo e sterile. Nessun atteggiamento affettuoso, nessuna passione vera e sentita nel profondo, solo un legame che verrà brutalmente spezzato dal morbo dilagante. Gli unici sentimenti e atteggiamenti ormai concessi come fossero la norma sono l’uccisione e l’unione di alleanze a puro scopo di sopravvivenza. In questo modo, i pochi e sparuti momenti in cui si ricorda allo spettatore che “c’era una volta una famiglia” sembrano quasi un sussulto, un risveglio dal coma e dallo stordimento in cui l’apocalisse ha fatto cadere anche noi, quasi incapaci di distinguere i confini della “vecchia” famiglia Clark e quelli della famiglia di sopravvissuti che si è creata nel tempo, nemmeno questa però priva di conflitti.

Un livello più complesso e difficile da affrontare è incarnato nella figura di un giovane che sembra aver perso il senno e l’umanità. Fino a che avrà vita, Troy Otto non si lascerà sfuggire alcuna occasione per fare esperimenti su prigionieri e umani in corso di trasformazione, osservando con minuziosa ed empirica attenzione il comportamento di ognuno di loro, come una sorta di Charles Darwin alla scoperta di una nuova specie (non) umana. Un incrocio tra un moderno scienziato antropologo e un bieco dittatore di tempi non troppo lontani, che pone fine a vite umane una dopo l’altra “per il bene della scienza e dell’umanità”, annotando tutto su un taccuino che non farà una bella fine, come il suo autore del resto. Troy sognava di poter comprendere tutto, di possedere lo stesso fuoco che Prometeo rubò agli dèi pur di conoscere l’essenza della vita e della morte, per finire la sua esistenza con un freddo colpo di pistola e cancellando ogni sua traccia in una diga inondata d’acqua.

Ma in un mondo del genere, vivere è ancora una giusta ricompensa?

Quest’ultimo elemento diventa centrale nella stagione in questione: la caccia all’acqua, la guerra per l’acqua, la morte stessa in acqua (abbiamo tanto sperato il ritorno di Travis, ma invano). Ogni singola goccia vale più di tutto l’oro del mondo. Potrebbe mancare cibo, ma non vedremo disperazione più grande quando verranno tolti acqua e ossigeno ai nostri eroi, sottolineando quanto siano essenzialmente basici i bisogni primari per assicurarci la sopravvivenza. Non a caso, l’acqua che abbiamo visto finora in ampie quantità solo nell’oceano (e dove raramente sono stati avvistati morti viventi in queste acque) ha sempre portato refrigerio e speranza, oltre che rappresentare un motore propulsore di azione della trama. Qui si configura in un luogo nuovo e centrale: la diga. A ulteriore supporto del ruolo cardine che questo elemento riveste nella narrazione, le fila della storia vengono tirate qui, dove tutti i membri del gruppo originario si ritrovano, per poi perdersi nuovamente.

È proprio in un’esplosione di roccia e acqua che si chiude il sipario dell’episodio 3×16, e quindi della stagione, come a cancellare tutto quello che è stato fino a quel momento e portando via dolore e tante vite, trascinando cadaveri e persone vive, in una sorta di purificazione portata da un Mar Rosso che si richiude sugli Egizi, concedendo il lusso della sopravvivenza solo ai meritevoli. Ma in un mondo del genere, vivere è ancora una giusta ricompensa? Sarebbe molto più facile chiudere gli occhi e lasciare che i polmoni si riempiano d’acqua, annegare la propria anima e il dolore che ha dovuto portare fino a quel momento, trovare la pace meritata. Una requie che Madison sembra dover ancora meritare.

Porcamiseria
  • 7.5/10
    Storia - 7.5/10
  • 8/10
    Tecnica - 8/10
  • 8.8/10
    Emozione - 8.8/10
8.1/10

In breve

La terza stagione mostra de facto poche variazioni sul tema, con una narrazione che ricalca sempre la stessa linea d’onda, ma veniamo buttati in un mare in tempesta di emozioni, esaltate anche da una costruzione scenica davvero ben fatta, con un sapore tra l’indie e il commerciale che va a nozze nel complesso.

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Porcamiseria

8.1

La terza stagione mostra de facto poche variazioni sul tema, con una narrazione che ricalca sempre la stessa linea d'onda, ma veniamo buttati in un mare in tempesta di emozioni, esaltate anche da una costruzione scenica davvero ben fatta, con un sapore tra l'indie e il commerciale che va a nozze nel complesso.

Storia 7.5 Tecnica 8 Emozione 8.8
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