Dirk GentlySeason 1 recap: l’infinita ricerca di un senso

Una valanga di eventi, personaggi, misteri, e bizzarrie di ogni tipo sono gli ingredienti di questa prima stagione di Dirk Gently's Holistic Detective Agency, che convince e diverte senza mai esagerare.

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Siamo verso la fine del sesto episodio della serie – sesto di otto – e i due protagonisti, Dirk e Todd, stanno per incontrare il capo dei cattivi, quello storico, quello che dovrebbe finalmente svelarci tutti i misteri. Questo il suo grande discorso chiarificatore: “Cosa sta succedendo? Chi siete? Forse Patrick Spring vi aveva assunto? Siete degli investigatori? Lavorate per l’FBI? Com’è entrata l’FBI in questa storia? Chi ha sparato a Ned? Come sapevate che Farah Black era in quell’appartamento? Dov’è il gattino? E dov’è il mio cane? Perchè avete dato fuoco a casa mia? E chi ha picchiato Ed e Zed? Erano i vostri uomini? Altri uomini? Quanti gruppi sono invischiati in questa situazione? Come diavolo fa Patrick Spring a essere in due posti contemporaneamente?” Poche domande tutto sommato, poche rispetto a quelle nella testa di Dirk, che sono comunque meno di quelle che avrebbe Todd. In Dirk Gently nessuno sembra sapere niente di quello che succede, e una volta accettato questo fatto tutto acquista molto più senso.

Non stiamo qui a raccontarvi la trama, anche perché non siamo sicuri di azzeccare tutti i passaggi dei viaggi nel tempo di Patrick Spring, ma vista a posteriori la vicenda non è neanche così ingarbugliata: ciò che sembra complicare le cose è la quantità delle parti in gioco e il modo frammentato e imprevedibile con cui vengono presentate; una volta capiti i meccanismi che ci sono alla base Dirk Gently’s Holistic Detective Agency si segue che è un piacere. Max Landis, creatore della serie, deve aver ragionato allo stesso modo degli autori dei cruciverba: alcuni pezzi sono semplici semplici, altri richiedono più ragionamento, ma ogni pezzo completa l’altro in un incastro perfetto. Al suo servizio un cast giovane e capace: Elijah Wood fa il suo dovere senza colpire particolarmente, Samuel Barnett si dà da fare per costruire un personaggio dalla mimica cartoonesca e ci riesce, ma senza troppa originalità.

In Dirk Gently nessuno sembra sapere niente di quello che succede, e una volta accettato questo fatto tutto acquista molto più senso

Poco importa dunque se alcune parti fanno storcere il naso, come l’inutilmente complicato, e tecnologicamente improbabile, labirinto della morte elettrico ed elettronico progettato da Spring: superate alcune assurdità di troppo la vicenda torna sempre in qualche modo su binari, tutto sommato, verosimili. Quello che convince è infatti la capacità di innestare gli elementi della fantascienza, il ritmo dell’avventura, e i siparietti della commedia, in un sistema che non abbandona mai il punto di vista esterno e possibilmente distratto dello spettatore. Il concetto di mistero assume, se vogliamo, un nuovo significato: non qualcosa da scoprire, tramite l’attenta analisi degli indizi, ma qualcosa da vivere. I personaggi, quasi tutti, buoni e cattivi, subiscono gli eventi, vengono letteralmente travolti dagli stessi; l’atteggiamento di Dirk, che agisce senza pensare, spinto dall’universo (bella scusa), è l’unico possibile; allo stesso modo l’unico modo che ha lo spettatore di godersi Dirk Gently è quello di non cercare di capire tutto subito, ma lasciarsi travolgere dalla vicenda.

I momenti memorabili sono tanti, dalla scena dello scambio di ostaggi sul ponte ai surreali dialoghi dei due agenti della CIA. Quello che diverte di più è l’espediente dello scambio delle anime con gli animali, che permette ad un gattino di uccidere come farebbe un pescecane o alla povera Lydia Spring, nucleo e pretesto dell’azione, di comportarsi come un cane. Ancora da capire, invece, quello che c’è dietro i personaggi di Dirk e Bart: il viaggio della giovane e spietata killer appare ancora irrisolto e misterioso, e il suo passato tutto da scoprire. Il finale, prologo per la seconda stagione, non è poi dei più riusciti, soprattutto per il nuovo “cattivo” diventato tale un po’ troppo frettolosamente. Sembra paradossale ma forse quello che manca a Dirk Gently’s Holistic Detective Agency è la capacità di osare: pur manifestando la volontà di andare sopra le righe non si va mai fuori dagli schemi di una fruizione adatta alla massa e i lacrimoni finali sul significato di amicizia, seppur necessari, lo dimostrano. Forse il giovane Landis ha voluto dimostrare di saper confezionare un prodotto completo per accontentare un po’ tutte le parti della produzione, ma dalla seconda stagione ci aspettiamo più coraggio.

Il pilot era partito forte, sì, premendo sull’acceleratore e mettendo in chiaro le cose; quello che non ci si aspettava, forse, è che la matassa della trama andasse ad ingarbugliarsi così tanto da disorientare i personaggi stessi, costruendo una confusione metatestuale che avanza senza sosta verso il limite del “seguibile” non oltrepassando, incredibilmente, mai il confine grazie ad una costruzione narrativa curatissima. Il miglior pregio di questa serie è infatti quello di non annoiare mai, di non far perdere il filo del discorso, di non infastidire, nonostante le continue discontinuità, esagerazioni, e stranezze di ogni tipo. Anche quello che non lo sembra fa parte di uno schema generale delineato nei dettagli; forse è troppo pretendere che tutto abbia un senso, ma l’approccio che ci ha insegnato Dirk è sicuramente la chiave giusta per interpretare questa piccola grande storia.

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