Prendo in prestito le sagge parole di Karen Page perché non c’è modo migliore, davvero, per spiegare questa seconda stagione di Daredevil. La prima, inutile negarlo, ha davvero fatto il botto: da tempo non si vedeva trasposta sul piccolo schermo una storia fumettistica con così accurata attenzione ai dettagli, alla costruzione dell’atmosfera e non solo delle storyline, una precisione e una passione che hanno fatto presa anche sul pubblico solitamente non avvezzo a seguire le gesta di qualcuno vestito in attillate tutine che agisce di notte. No, non parlo per voi malpensanti.
Fatto 30, si fa 31; gli sceneggiatori, in questa seconda stagione del Diavolo di Hell’s Kitchen, avranno probabilmente pensato “Dobbiamo decisamente alzare il livello, altrimenti come facciamo a restare al passo con ciò che abbiamo prodotto lo scorso anno?”. Il rischio di fare qualcosa troppo bene è il dopo: nulla di ciò che verrà in seguito, a meno di strabilianti novità o innegabili botte di culo, sarà mai all’altezza. Il climax, in una serie tv, è essenziale anche per questo motivo: se qualcosa parte in sordina, è sempre più facile poi meravigliare il pubblico, che sarà innegabilmente meno esigente di chi invece è stato abituato benissimo fin da subito.
Quindi, cos’è successo a Daredevil quest’anno? Qualcosa, sicuramente. Qualcosa che ha fatto dire ai più “Sì, bellissima, ma…” e quando c’è un’avversativa alla fine di un pensiero non è mai buona cosa. Perché Doug Petrie e Marco Ramirez, showrunners di questo secondo capitolo da tredici episodi, hanno fatto lo stesso errore di Sam Raimi con il terzo Spiderman (comunque migliore di The Amazing Spiderman, ma questo è il personalissimo parere di chi scrive). Prendi una pellicola su un supereroe, mettici un cattivo memorabile e poi cerca di superare il vuoto lasciato da questo villain riempiendo la storia di gente. Tutto qua.
Se per Spiderman è successo nel secondo film con il Doctor Octopus – un magnifico Alfred Molina – insostituibile e per questo “rimpiazzato” da ben tre villains diversi e una storia deboluccia (non stiamo ad elencarli tutti che si fa notte), per Daredevil il carismatico Wilson Fisk sparisce per far posto a The Punisher, Elektra e La Mano. Cos’è che stona, in questo discorso?
Hell’s Kitchen: troppo affollata
Innegabilmente, la seconda stagione è filata liscia fino al quarto episodio, quando inizia a chiudersi il ciclo del Punitore per fare spazio alla storica fiamma di Matt Murdock, Elektra; ma l’assassina addestrata da Stick non è certo l’unica new entry, perché da quando compare lei inizia a rifarsi viva anche La Mano e la leggenda di Black Sky – già citata nella prima stagione – torna a essere un discorso che ossessiona Matt, allontanandolo sempre di più dalla sua vita normale.
Ora, se la serie avesse avuto 24 episodi canonici – o almeno altri quattro in più – le storyline si sarebbero consumate in modo organico, senza intoppi o la sensazione che sia tutto troppo affrettato; ma per quanto nessuno possa affermare che sia una brutta serie, affatto, Daredevil questa volta fa un passo falso.
Dal decimo episodio – The Man in the Box – fino alla fine, gli avvenimenti si fanno molto confusi e frettolosi. La bravura degli sceneggiatori è innegabile, e la regia impeccabile come sempre, ma il primo pensiero che viene in mente è che se a reggere la penna del Diavolo ci fosse stato qualcun altro, sarebbe venuto fuori un prodotto brutto. Senza mezzi termini.
La storia di The Punisher, sfido chiunque a dire il contrario, si conclude con il più classico dei cliché, dedotto tra l’altro da Karen guardando una semplice foto; salta fuori che tutto il casino al parco, l’omicidio della sua famiglia e il successivo tentativo di insabbiamento, sono stati orchestrati dallo stesso Generale con cui lavorava in Iraq, lo stesso che testimoniò per lui nel processo e che finisce per essere ucciso in un capanno – Frank Castle conosce un’unica forma di giustizia: la punizione. E per lui è questo, essere un eroe. La notizia di una serie dedicata tutta a lui – anche se inizialmente non era in programma – lascia ben intendere quanto questo personaggio abbia fatto presa su tutto il pubblico, nessuno escluso, e abbia riempito benissimo il vuoto lasciato da Fisk. Complice anche l’ottimo e convincente lavoro di Jon Bernthal, non vediamo l’ora di ritrovarlo sullo schermo.
See you around, Red. – Frank Castle; 2×13
Non si può dire lo stesso di Elektra, purtroppo. La figura della Natchios è molto importante nei fumetti e in questo caso non l’è stato dato il giusto spazio: vuoi perché si è scoperto il suo essere Black Sky – why – vuoi perché La Mano e Nobu-non-muoio-mai hanno fatto questa rivelazione buttandola lì, a casaccio, a una puntata dal finale. Pensandoci a posteriori, c’è un buco di trama grosso quanto il buco scavato nelle viscere di Hell’s Kitchen. A cosa è servito mostrarci quella voragine? Quale scopo ha? E perché La Mano pensa che Elektra sia Black Sky, con quale fine la vuole assoldare? Insomma, se qualcuno di voi sa rispondere a queste domande, mi renda edotta perché io proprio non l’ho capito.
Pur di infilare Elektra nella storia, l’hanno spinta a forza in uno spazio troppo piccolo, troppo poco per poter sviluppare davvero adeguatamente qualcuno di così importante per Matt Murdock; se l’hanno fatto per mostrarci uno spaccato di passato dell’avvocato, la prima volta che si è trovato a decidere se varcare i confini dell’omicidio o scegliere di non farlo – per la sua fede e moralità – è quasi riduttivo. Se invece volevano rendere Elektra il nuovo interesse amoroso di Matt, per creare una sorta di triangolo con Karen, anche in questo caso è sprecata.
Essere un eroe, per Elektra, è davvero difficile: accettare di aiutare Daredevil a liberare gli ostaggi usati come esca da La Mano, nell’ultima puntata, è il primo vero passo verso una visione diversa delle sue abilità da assassina. Peccato duri poco e non sia stato sviluppato adeguatamente. Il suo ritorno, dato che è stata riposta amorevolmente nella Mistica Bara dall’ignoto funzionamento (?) dai ninja rimasti, mi sembra piuttosto scontato. Ne varrà la pena?
Tirando le somme, la Nelson & Murdock non esiste più – il cameo di Jeri Hogarth che assume Foggy è una piccola perla per la continuity del MCU – The Punisher è in giro a zonzo per Hell’s Kitchen, Elektra in una bara e Matt pensa bene di fare una delle poche cose sagge di questo finale: rivelare a Karen che è lui Daredevil. Questa notizia apre il loro rapporto a prospettive molto diverse per la prossima stagione, suggerendo forse un riavvicinamento del trio sfasciatosi proprio a causa di Elektra – ammettiamolo, è così.
Per Matt Murdock, quindi, essere un eroe è semplicemente essere se stesso: sacrificarsi, sempre e comunque, a rischio di mettere in pericolo la sua incolumità. È guardare negli occhi qualcuno e ammettere un segreto che può sembrare assurdo, scegliendo coscienziosamente di esporre il depositario della confessione a svariati pericoli ma non preoccuparsene perché, tanto, ci sarà sempre lui a proteggere lei e Hell’s Kitchen.
Quattro porcamiseria per una stagione che definirei incostante: picchi di rara bellezza – piani sequenza, fotografia, prove attoriali – alternate a facilonerie e buchi di trama che altrove sarebbero stati imperdonabili. Ma suvvia, a Daredevil si perdona un po’ tutto. Tolto il sorriso sciogliginocchia di Charlie Cox – e non solo quello – la storia cupa del Diavolo di New York resta uno dei prodotti migliori che Netflix ha saputo sfornare.
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