CollateralSeason 1 Recap: chi ha ucciso il fattorino?

Season Recap Questa miniserie in quattro puntate segue le indagini relative all'omicidio di un immigrato clandestino che consegnava pizze a domicilio, ma ci verranno mostrate anche diverse altre storie più o meno legate a questo caso, "danni collaterali" dell'indagine in corso.

6.7

Le miniserie di stampo britannico hanno un formato molto particolare che le allontana tantissimo dalle normali serie televisive all’americana e le rende un ibrido particolare tra queste e il film.
Il numero limitato di episodi (quattro in questo caso), controbilanciato parzialmente dalla durata più estesa di ognuno di essi (intorno all’ora, qui), rende necessario un approccio completamente diverso rispetto alla serialità allungata dei prodotti cui siamo maggiormente abituati.
Per funzionare bene, una miniserie di quattro episodi deve entrare subito nel vivo, mostrarci chiaramente la storia, divagare poco, avere personaggi ben caratterizzati e fornirci un adeguato numero di colpi di scena per tenere viva l’attenzione per tutta la durata di questi lunghi episodi.

Ora, questa nuova miniserie coprodotta da Netflix e BBC2 purtroppo riesce solo parzialmente in tutto questo, risultando alla fine un prodotto che lascia parecchie perplessità.

La storia verte intorno all’omicidio del fattorino Abdullah Asif a opera di un professionista, un fatto che provoca parecchie domande sia negli spettatori che nel detective Kip Glaspie, che si occupa dell’indagine: il proiettile era destinato a lui o a un altro fattorino? Come mai la manager della pizzeria ha deciso di cambiare incaricato per questa specifica consegna? Chi poteva avere così tanto interesse a uccidere un semplice fattorino (e magari un immigrato mediorientale) da assoldare un professionista?
Andando avanti con le indagini verranno introdotte due tematiche molto importanti in questa miniserie, quella dell’immigrazione e quella dello scontro tra la polizia e i servizi segreti.

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La tematica dell’immigrazione appare subito evidente, data l’origine della vittima, ma una volta rintracciata la sua abitazione diventa ancora più importante. Dalla persona di Abdullah arriveremo alle sue sorelle, risalendo poco a poco a un’organizzazione criminale che ha condotto tutti e tre dall’Iraq all’Inghilterra clandestinamente, dove poi hanno trovato tranquillamente un tugurio dove vivere e dei lavori in nero per poter sopravvivere. Fino ad arrivare al centro di detenzione per immigrati irregolari.
Una storia come tante purtroppo, ma che finisce sotto i riflettori per via di quel proiettile.
Come finisce sotto i riflettori la storia di un’altra persona, un’altra immigrata clandestina, profondamente diversa dagli Asif: Linh Xuan Huy, unica testimone dell’omicidio, entrata in Inghilterra con un permesso di studio e poi rimasta illegalmente, ora divisa tra la paura di farsi scoprire dalla polizia e la coscienza che le dice di testimoniare ciò che ha visto.
Due situazioni diametralmente opposte, sia per il modo col quale sono entrati in Inghilterra, sia per cosa fanno adesso. In comune hanno la fuga verso una vita migliore, naufragata contro la realtà della burocrazia e delle leggi.

 

Va a finire così?

Scappano dalla guerra, arrivano qui e iniziano una nuova vita in un garage?

E’ il meglio che possiamo offrire?

 

L’altra tematica è il classico scontro tra organizzazioni differenti, in questo caso la polizia rappresentata dalla nostra detective e il MI5 al quale appartiene l’agente Sam Spence.
È evidente fin da subito sia l’antipatia della polizia verso i servizi segreti, sia la mancanza di rispetto di questi verso la prima. Del resto la polizia non ha praticamente alcun potere mentre i servizi hanno possibilità davvero enormi, come vedremo durante queste quattro ore.
E dalle antipatie passeremo a colpi più personali, con i due agenti che si terranno d’occhio a vicenda non fidandosi minimamente dell’altro.
Non per niente, la detective Glaspie otterrà risultati principalmente quando agirà per conto proprio, senza intralci né fughe di notizie.

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A queste due tematiche se ne aggiunge una terza abbastanza seria, che non riguarda direttamente il caso ma che entra nel quadro attraverso i personaggi: PTSD, i disturbi da stress post traumatico.
Ne soffre chiaramente il capitano Shaw, rientrata da una missione all’estero dopo aver visto esplodere davanti ai suoi occhi la sua migliore amica, incapace di tornare alla vita civile, rovinata dalle sue esperienze in guerra.
Ma in qualche modo sembra soffrirne anche Karen Mars, la destinataria dell’ultima consegna effettuata da Abdullah, ex moglie di un parlamentare liberista e cresciuta a Beirut sotto le bombe. Non si sa se sia o meno a causa di questo, ma la donna (interpretata da un’ottima Billie Piper, l’indimenticabile Rose di Doctor Who e di Lily in Penny Dreadful) ha gravi problemi psicologici ed è mentalmente squilibrata.

 

Fin qui, storia e tematiche sono buone. La storia parte subito dal punto focale della serie, le rivelazioni sono ben dosate, l’attenzione viene mantenuta alta.
Purtroppo però la serie ha un paio di enormi difetti.

Il primo è che la protagonista non è molto credibile.
Di lei sappiamo che ha un passato come atleta di livello nazionale nel salto con l’asta, diventata famosa dopo un incidente in pista, quando è cascata malamente di schiena; ha lavorato come insegnante e si è sposata con un preside; poi è entrata in polizia, dove sta da otto anni, fino a quando adesso non ha ricevuto il suo primo incarico importante. Lo accetta subito, partendo come un razzo senza mai essere ingombrata o altresì intralciata dal suo essere al sesto mese di gravidanza, e addirittura resta al lavoro per quattro giorni senza mai tornare a casa a dormire. Del resto, chi mai ha bisogno di dormire? Si arriva anche a chiederci se non ci siano dietro grossi problemi con il marito, vista questa situazione paradossale… insomma, questa poliziotta intuitiva dal passato sfaccettato e dal metabolismo inumano non sembra affatto una persona reale.

 

Il secondo, più grave, è che qui si divaga troppo.
Il Collateral del titolo probabilmente è dovuto alle tante storie secondarie che si mescolano alla trama principale, danni collaterali cui assistiamo mentre lo spettacolo procede.
Così vediamo la vita di Karen Mars, ma anche quella di David, l’ex marito, ministro ombra del trasporto ai ferri corti con una leader laburista che più che all’ideologia pensa a inseguire la pancia della gente. Interpretato da John Simm (uno dei volti più recenti del Maestro in Doctor Who), si abbandona volentieri a sermoni sulla sua visione della politica e dell’immigrazione, probabilmente esprimendo il punto di vista di Hare vista l’inutilità del tutto ai fini della trama.
Vediamo la vita della testimone vietnamita Huy e della reverenda Jane Oliver, in rotta di collisione con la propria Chiesa per via della sua dichiarata omosessualità.
Vediamo i tentativi del capitano Shaw di tornare in guerra e come gravitino intorno a lei sia il viscido Maggiore Dyson, suo superiore, sia l’ex-militare e amico di suo padre Peter Westbourne.

Alcune di queste persone sono più collegate di altre all’indagine, anche se le storie sono quasi sempre estranee al caso.
Sembra di assistere alle increspature sull’acqua dopo aver gettato un sasso: dalla morte di Abdullah si arriva a Karen, a Laurie, alle sorelle di Abdullah, a Huy. E poi arriva il MI5, arriva David, arriva Jane. E poi ancora Shaw, Westbourne, Berna.
Sono tutte storie che sarebbero state bene in una serie lunga, ma che in quattro episodi tolgono più di quanto non diano. Tolgono spazio e tempo alla storia principale, distolgono l’attenzione puntandola su dettagli che non hanno niente a che vedere con la trama, ma che hanno senso nel mondo privato del singolo personaggio.

Alla fine resta un poco di amaro in bocca, si è consapevoli di aver visto una bella serie e di aver sfiorato argomenti importanti, ma non si capisce quale fosse il senso di altri personaggi, di altre storie.

 

Porcamiseria
  • 7.5/10
    Storia - 7.5/10
  • 5.5/10
    Tecnica - 5.5/10
  • 7/10
    Emozione - 7/10
6.7/10

In breve

Una buona storia con una detective particolare, che si affida molto alle intuizioni. Però in soli quattro episodi si divaga troppo, disperdendo energie e attenzione su eventi totalmente scorrelati dalla trama.

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7.5/10 (2 votes)

Porcamiseria

6.7

Una buona storia con una detective particolare, che si affida molto alle intuizioni. Però in soli quattro episodi si divaga troppo, disperdendo energie e attenzione su eventi totalmente scorrelati dalla trama.

Storia 7.5 Tecnica 5.5 Emozione 7
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