Black Mirror3×01 Nosedive

Torna la satira sociale di Black Mirror, che con Nosedive ci mostra tutta l'assurdità del mondo in cui viviamo e di quello in cui potremmo vivere. Una caduta in picchiata verso la liberazione dai punteggi, dai riconoscimenti, e dalla finzione da cui siamo ossessionati.

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Chissà se in futuro il nome di Charlie Brooker verrà citato affianco ai nomi di George Orwell e H.G.Wells. Il paragone, se esteso alla già vastissima categoria degli autori che hanno costruito sul concetto di distopia la propria opera, sarebbe più che giustificato e anzi decisamente valido. Le realtà distopiche, fin dai primi esperimenti letterari del ‘700, non smettono di affascinare la mente umana: il lato negativo di “quello che potrebbe essere” spaventa, angoscia, ci mette in guardia, ci fa riflettere molto più dell’opposto positivo, che al contrario intrattiene perché ci “scollega” temporaneamente dalla vita quotidiana. Brooker lo sa, conosce Orwell, Wells, ma anche Isaac Asimov, Philip K. Dick, e il Cyberpunk tutto, o almeno abbastanza da sapere che la tecnologia è ormai dal secondo dopoguerra il veicolo più efficiente delle paure e delle angosce umane. Black Mirror nasce da tutto questo: è la fantascienza sociologica di Ray Bradbury e Aldous Huxley unita alla critica contemporanea all’era dell’informazione, è Il signore delle mosche letto sullo scorrere del codice verde di Matrix, è l’angosciante paradosso della vita negli anni ’10 riflesso sullo schermo di uno smartphone.

Nosedive è il primo episodio dell’attesissima terza stagione di questa fortunata serie, partita in Inghilterra e ora acquistata da Netflix. In pochi forse, alla partenza sugli schermi di Channel 4 nel 2011, si sarebbero aspettati un seguito così promettente per la serie di Brooker, un po’ perché le serie inglesi che non partono con megaproduzioni vengono sempre ingiustamente snobbate dal grande pubblico seriale – si pensi ad esempio quella perla dimenticata di Utopia -, e un po’ perché, essendo una miniserie antologica, e anzi difficilmente catalogabile anche come tale, il pubblico tende a non affezionarsi in assenza di vero e proprio sviluppo narrativo tra le puntate. Per fortuna la teoria e la pratica sono cose diverse. “The National Anthem” è l’etica della visione; “Fifteen Million Merits” l’assurdità del successo; “The Entire History of You” la degenerazione del controllo. “Be Right Back” racconta la riproduzione del sentimento, “White Bear” è la morale della pena, “The Waldo Moment” l’ipocrisia della politica. Black Mirror non risparmia neanche l’atmosfera sognante del Natale, amplificando con “White Christmas” i temi, i tempi, e la struttura; disorientando e spaventando, come deve essere.

Black Mirror 3x01 Nosedive
Un paio d’anni fa correva la voce che sarebbe presto arrivata un’app che avrebbe classificato le persone, una sorta di Tripadvisor per la gente – o Yelp se preferite-, si trattava di Peeple, che con il senno di poi è stato uno dei rari casi in cui la polemica non ha garantito il successo, neanche quello temporaneo. Nosedive attinge da questa pericolosa idea per immaginare una realtà in cui le persone vengono classificate da un punteggio da 0 a 5, idea che non è affatto troppo lontana dai like di Facebook, i cuori di Instagram, o di Twitter. Il livello di gradimento di un nostro post su un social network non è altro che un gradimento a noi stessi, tanto che alcune persone ci hanno saputo costruire una reputazione, un lavoro, una vita intera dedicata alla popolarità sulla rete. Bryce Dallas Howard interpreta Lacie Pound, una ragazza ossessionata dal suo punteggio; al contrario della nostra realtà però in quella di Lacie il punteggio personale vale a livello sociale anche per ottenere agevolazioni varie, che siano sconti, code veloci alla cassa, e voli aerei; la disperata scalata è quindi legata ad un senso pratico di benessere, e sembra l’unica scelta di vita possibile. Il titolo – caduta libera, o la picchiata, se tradotto – suggerisce che ovviamente non tutto andrà come si vorrebbe.

Nosedive è l’unico episodio di Black Mirror che non è stato scritto da Charlie Brooker, ci hanno pensato Rashida Jones e Michael Schur, che da Parks and Recreation hanno portato un approccio spensierato e hanno saputo coniugarlo all’estremo per raggiungere – in parte – la disturbante scrittura a cui siamo stati abituati. Ci verrebbe da dire che i due, vista l’esperienza dal mondo comedy, siano stati anche ispirati da una puntata di quegli strambi di Community, per l’esattezza la 5×08 – App Development and Condiments, ma in ogni caso l’importante, come disse un grande, non è da dove si prendono le idee, ma dove le si portano, e Nosedive in questo senso raggiunge un’identità ben definita. A inquietare è soprattutto la falsità delle relazioni, i sorrisi tirati, i colori pastello delle scenografie e dei costumi rétro, la pulizia formale dei gesti e dei giardini delle case, un po’ come nel primo Tim Burton. Una realtà di plastica, in cui non si gode di niente, non ci si guarda attorno e non si provano più emozioni per il solo gusto di farlo. Ora provate a dire che non è la realtà in cui viviamo.

Black Mirror 3x01 Nosedive

Il tema è stato usato e abusato negli ultimi anni, la dipendenza da smartphone e il magnetismo del display avevano bisogno di una messa in scena fresca ed una volta per tutte esplicita, e a questo ha pensato Joe Wright, che è forse uno degli ultimi registi che avremmo associato a Black Mirror. A prima vista i suoi lavori, a cominciare da Orgoglio e pregiudizio, poco si adattano alle atmosfere disturbanti di Black Mirror, ma, a ben vedere invece, dietro al sentimentalismo si nasconde un’ansia di fondo che è la colonna portante della narrazione, si veda lo snodo narrativo di Espiazione, o le atmosfere thriller di Hanna. Qui Wright non si lascia prendere la mano e costruisce una realtà solida e affascinante. Quello che non convince è casomai nella sceneggiatura, a tratti troppo didascalica: esplicitare la morale di fondo così spudoratamente tramite i personaggi del fratello e della signora dallo score basso, è decisamente una mossa poco azzeccata per una serie che invece mira ad essere sottile, subdola, e ironica.

Nosedive è una satira sull’accettazione della nostra immagine da parte degli altri

La scena del discorso delirante al matrimonio non è niente di nuovo, ma viene alla mente la Ellen Burstyn di Requiem for a dream nel suo vestito rosso davanti alla sua platea tanto sognata, e ci scende una lacrima. Wright decide di metterci del suo quando sul finale il pulviscolo fluttuante risveglia nella protagonista dalla rinnovata vista chissà quali sentimenti; una “zuccherosità” spiazzante, decisamente non da Black Mirror. Stesso discorso per la chiusura liberatoria, azzeccata e appagante, che forse ci ha regalato il primo “happy” ending della serie. La scenografia è perfetta – automobili a parte -, il cambiamento di budget si nota, anche nella cura del design delle interfacce dei vari dispositivi, credibile e accattivante. Il sottofondo musicale costante rende tutto più Hollywoodiano, le vecchie stagioni godevano di una dimensione più intima e teatrale, ma il cambio di registro non è necessariamente un difetto. La Howard offre un’interpretazione convincente e a tratti entusiasmante, con i suoi urletti isterici, le risatine fastidiose, e i pianti disperati sopra le righe quanto basta.

Nosedive è una satira sull’accettazione, più precisamente sull’accettazione della nostra immagine da parte degli altri. Sia chiaro che si tratta di un concetto ben più antico dell’era dei social network, tutto ciò che facciamo è comunicazione: i vestiti che decidiamo di indossare la mattina, il modo in cui parliamo, tutto è finalizzato, a volte inconsciamente, a comunicare agli altri l’immagine che vogliamo dare di noi stessi. Anche la votazione secondo un punteggio è un concetto basilare della società occidentale, si pensi alla scuola, o ai conti in banca: siamo già classificati, i social network non hanno inventato nulla (ma possono sempre peggiorare le cose). Quello che funziona in Nosedive è proprio la sua dichiarata natura di satira sociale, e anche se con uno stile più piacevole, convenzionale, e poco sorprendente riesce comunque ad ottenere il risultato che Brooker si è sempre prefissato: siamo onestamente imbarazzati a valutare l’episodio con un punteggio da 0 a 5, e questo può solamente voler dire che Black Mirror ha colpito ancora una volta nel segno.

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