American Horror StoryAmerican Horror Story: Cult. Un buon finale non salva dal disastro

Season Finale Cala il sipario sul culto di Kai Anderson e su questa stagione di American Horror Story. Un season finale degno, per una stagione tuttavia ampiamente al di sotto delle aspettative.

4.3

Se c’è una garanzia che può darci Ryan Murphy è come basare una serie tv su ottime premesse, riuscendo dopo sempre meno episodi a rovinare quanto partorito dalla sua mente creativa. In una produzione seriale con brevissimi momenti di lucidità persino al di fuori dell’universo AHS, peraltro tutti concentrati nel 2016 – American Crime Story e American Horror Story: Roanoke sono mosche bianche – la probabilità che American Horror Story: Cult smentisse la tendenza del creatore era prossima allo zero.

Le basi da cui partire, in un periodo storico dominato da follie ed eventi tanto improbabili quanto concreti, erano solide, in una critica mascherata da metafora estrema delle ultime elezioni presidenziali americane. Il citazionismo ora non è più nell’universo horror, ma in quello reale, in cui ciò che accade supera ogni più spaventosa immaginazione. Per tale motivo, la solidità della storia è subordinata alla costruzione di un intreccio narrativo quantomeno credibile secondo i comuni principi di razionalità. A differenza delle precedenti stagioni, fondate su elementi sovrannaturali che fanno leva sulla nostra sospensione dell’incredulità, American Horror Story: Cult necessitava di una costruzione differente, basata su una caratterizzazione dei personaggi ben strutturata.

Vi state chiedendo se Murphy è riuscito a portare a termine – se non a iniziare col piede giusto –  questa titanica impresa? Spoiler: ovviamente no.

Soprattutto quest’anno, American Horror Story si è rivelato sin da subito una sequela di insensatezze prive persino di coerenza interna. I personaggi si rivelano banderuole al servizio della trama, assolvendo ripetutamente al ruolo di gigantesco deus ex machina: da Beverly, la cui volontà inflessibile viene pilotata con la stessa facilità di un triciclo, passando per Winter, la cui alleanza è altalenante senza motivo persino nel momento della sua morte, e per Ivy, persuasa a compiere gesti estremi con motivazioni ridicole.

Non bastasse la gigantesca inettitudine dei comprimari, alla base di questo disastro troviamo il villain della stagione Kai Anderson. Il suo carisma, inversamente proporzionale ai decibel delle sue urla, compromette la credibilità delle sue azioni, e per diretta conseguenza quella di tutte le persone che decidono di seguirlo rapiti, non si sa come, dalle sue parole. Proprio i dialoghi – e specialmente i monologhi di Kai – sono una delle note più dolenti di questa stagione, carichi di frasi fatte, prive di mordente, anzi gonfie di vuota retorica; è impossibile che battute tanto brutte possano avere un qualunque effetto sui personaggi coinvolti, pur tenendo conto della loro instabilità mentale.

In una sceneggiatura costellata di imprecisioni e risoluzioni offscreen – su tutte la reclusione di Ally nel centro psichiatrico – a fare il disastro peggiore è il flashback dedicato a Valerie Solanas, nonché le diramazioni di questo episodio filler nel presente, tanto pretestuose quanto maldestramente eseguite. Era già abbastanza grave l’inclusione di una berciante Lena Dunham in un episodio a lei interamente dedicato, ma se a questo aggiungiamo il ritorno dal passato a fomentare il leader del culto con assurde motivazioni, la misura è definitivamente colma.

Il personaggio di Bebe Babbitt, pur interpretato da un’apprezzabilissima Frances Conroy, si inserisce nelle dinamiche di Kai Anderson e della sua gioventù ariana fornendogli un movente che non sta in piedi, soprattutto alla luce dell’ideologia diametralmente opposta a quella del culto. In che modo una femminista radicale può trovare accordo con un altrettanto radicale misogino e razzista? Hanno provato ad abbozzare qualche giustificazione, senza successo.

In mezzo a questa montagna di incoerenze, l’unico elemento distintivamente positivo è dato dal percorso della protagonista, accidentato ma più credibile, nonostante gli elementi di discontinuità. Allyson Mayfair-Richards segue il tipico percorso di resistenza, maturazione e vendetta che ci si aspetterebbe in un contesto estremo come quello in cui rimane coinvolta, riuscendo nel finale non solo a raggiungere il suo obiettivo, ma a farlo grazie a una sceneggiatura che rimedia ad alcune falle create precedentemente nella sua storia.

Non si spiega la sua tenacia nel resistere alla permanenza nell’abitazione di Kai, né si comprende l’esitazione ad ucciderlo laddove le occasioni sono piovute una dopo l’altra, se non fino alla rivelazione completa del suo piano. Chiaramente, ciò non è sufficiente a giustificare ogni altra bestialità a cui abbiamo assistito, ma si apprezza la parziale redenzione di una storia altrimenti del tutto inconsistente.

Diversamente da quasi tutte le stagioni passate di American Horror Story, Cult lascia lo spettatore con una piacevole sensazione di compiutezza, che stride con una costruzione del corpo centrale della narrazione totalmente allo sbando. L’analisi politica che Murphy ha voluto mettere in atto in parte ha dato soddisfazioni, perlopiù veicolate da frequenti riferimenti a Trump e al mutamento di coscienze da lui cavalcato, ma ha trovato un supporto pressoché inesistente da parte della storia raccontata in questa stagione. Forse è meglio che American Horror Story ritorni a fantasmi, vampiri e apparizioni demoniache, terreno più fertile per una creatività come quella di Ryan Murphy.

Porcamiseria
  • 4/10
    Storia - 4/10
  • 5/10
    Tecnica - 5/10
  • 4/10
    Emozione - 4/10
4.3/10

In Breve

La chiusura del cerchio sul culto di Kai Anderson provvede in parte a rimediare ad alcune inconsistenze di trama. Dovendo tuttavia allargare la prospettiva all’intera stagione, il senso di compiutezza finale non compensa una stagione tremenda come quella a cui abbiamo assistito.

Sending
User Review
3.5 (2 votes)

https://twitter.com/rdufayel/status/931320483584278528

 

 

Porcamiseria

4.3

La chiusura del cerchio sul culto di Kai Anderson provvede in parte a rimediare ad alcune inconsistenze di trama. Dovendo tuttavia allargare la prospettiva all'intera stagione, il senso di compiutezza finale non compensa una stagione tremenda come quella a cui abbiamo assistito.

Storia 4 Tecnica 5 Emozione 4
Scopri di più sui Porcamiseria

Ti è piaciuto l'episodio?

like
0
Mi è piaciuto
love
0
Tutto!
haha
0
Divertente
wow
0
Porcamiseria!
sad
0
Meh...
angry
2
Che schifo

Commenta l'articolo

Simili a American Horror Story