American Horror Story7×06 Mid-Western Assassin

Un attentato per scuotere le coscienze degli americani, ma anche uno sguardo sul culto della personalità, sulla manipolabilità delle masse e sulla strumentalizzazione delle paranoie. American Horror Story: Cult porta la sua allegoria politica su un nuovo livello, riuscendo finalmente a convincerci.

7.0

Nelle varie accezioni della parola culto, la tentazione è sempre quella di associare il termine al gruppo organizzato e accomunato da una certa dose di fanatismo. Quella che viene a galla in Mid-Western Assassin è un’altra accezione, ora finalmente cristallina davanti ai nostri occhi: il culto del leader e del manipolatore delle masse, di colui che sa soggiogare un gruppo di persone e plagiarle, utilizzando le loro debolezze.

Nella fattispecie è Meadow l’agnello sacrificale per il leader, totalmente rapita dal suo carisma e dall’obiettivo folle che ha in testa, tanto da essere parte attiva in un attentato – con conseguente sparatoria e suicidio – orchestrato per accrescere la popolarità della sua divinità personale. Ciò che viene messo in moto fa leva sul meccanismo di paranoia di Ally, ma dobbiamo davvero berci alla goccia tutto quello che ci viene propinato?

Diversamente da alcuni episodi passati, in cui la bruttura della sceneggiatura stride oltre misura con i propositi di questa stagione di American Horror Story, questa volta si riesce tutto sommato a portare avanti l’intreccio senza grosse sbavature, tolte quelle tipiche à la Ryan Murphy, con build-up inesistenti e climax raggiunto alla velocità della luce, prima che ce ne possa fregare qualcosa di quello che accade sullo schermo. Il casus belli in questione è rappresentato da Sally Kefler, rivale di Kai nella corsa municipale: il personaggio entra in scena e viene fatto fuori ancora prima che potesse diventare una minaccia, e tanto valeva non introdurla nemmeno, se lo scopo era un parallelismo Trump-Clinton che fa acqua da tutte le parti.

L’altro elemento a sfavore di Cult – ma in senso più ampio di tutta la serie di Ryan Murphy – è la sospensione dell’incredulità che siamo costretti a mantenere davanti allo svolgersi della trama. Anche stavolta, come in passato, si fa di tutto per sfidare l’inverosimile: tutta la catena di eventi dal salvataggio di Meadow all’ultimo secondo dell’attentato fila troppo liscia per essere credibile. Fortunatamente, per una volta la plausibilità passa in secondo piano grazie allo shock value del riuscitissimo colpo di scena finale – e anche perché abbiamo visto di molto peggio.

Dovendo infatti per una volta essere magnanimi, non è solo questione di colpo di scena poiché, andando sotto la superficie, il meccanismo che vediamo messo in atto è quello del tipico fine che giustifica i mezzi. L’allegoria politica, quasi più interessante sia della plausibilità della sceneggiatura, sia della credibilità di Kai Anderson – e di Evan Peters per associazione – come leader carismatico, è finalmente coinvolgente, pungente nel vivo dello spettatore tramite specifici e vividi riferimenti al delirio presidenziale degli Stati Uniti, senza per una volta risultare forzata o stucchevole.

American Horror Story si appropria finalmente di una sua dimensione, in un episodio non esente da critiche, ma che riesce a equilibrare i difetti con le allegorie e il messaggio politico usando i giusti toni. I plot twist stavolta funzionano, ma rimane il rammarico della maturazione tardiva di una stagione che, partita diversamente, avrebbe potuto convincere di più sin dalle battute iniziali.

Porcamiseria
  • 5.5/10
    Storia - 5.5/10
  • 7/10
    Tecnica - 7/10
  • 8.5/10
    Emozione - 8.5/10
7/10

In Breve

American Horror Story: Cult riesce finalmente a stupire. Al netto delle annose lacune nella sceneggiatura, stavolta meno traballante rispetto al passato, si percepisce più chiaramente il messaggio e l’allegoria politica che la serie vuole comunicare. Il rammarico resta nel risveglio tardivo di una stagione altrimenti più appagante.

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Porcamiseria

7

American Horror Story: Cult riesce finalmente a stupire. Al netto delle annose lacune nella sceneggiatura, stavolta meno traballante rispetto al passato, si percepisce più chiaramente il messaggio e l'allegoria politica che la serie vuole comunicare. Il rammarico resta nel risveglio tardivo di una stagione altrimenti più appagante.

Storia 5.5 Tecnica 7 Emozione 8.5
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