American Gods1×08 Come To Jesus

Season Finale Di Pasqua ce n'è una sola, ma di Gesù ce ne sono a bizzeffe, e per la grande festività Wednesday e Shadow vanno a farsi confezionare gli abiti da cerimonia dal sarto cantastorie di fiducia. Mai visti tanti colori e tanta magia in un episodio di American Gods, forse dovevamo aspettare proprio il season finale.

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Questo ultimo episodio di American Gods sembra più un midseason finale: svela poco della bellissima prima stagione e lascia irrisolti la maggior parte dei misteri e delle dinamiche tra i personaggi, buttandoci a capofitto in una situazione caotica e fuori dalla nostra piena comprensione. A parte la rivelazione sulla vera natura di Wednesday – a non esserci arrivato era rimasto solo Shadow – “Come To Jesus” è il preludio alla guerra imminente tra le divinità, con il cliffhanger di tutto il cast riunitosi a casa di un nuovo affascinante personaggio: Ostara, la dea della primavera.

Uno delle critiche che è lecito muovere ad American Gods è forse il non aver dato abbastanza spazio a personaggi interessanti anche se secondari, per ovvia mancanza di tempo. Otto episodi sono stati pochi, diciamocelo, ma alcuni personaggi come Anansi rispuntano come un ragno dal buco, senza una degna collocazione che non sia quella di una narrazione esterna.

Bilquis, la leggendaria regina di Saba, signora dell’amore e della lussuria, era venerata nell’antichità, piena del potere dei sacrifici sessuali a lei dedicati. Ai giorni nostri è diventata una povera senzatetto, costretta ad assistere in TV alla distruzione del suo antico tempio da parte dei fondamentalisti islamici, in un’epoca in cui l’amore ha perso la sua connotazione più eroticamente affascinante. Anche se la storia di Anansi e l’incontro con il Tecnofighetto avvicinano Bilquis al filone narrativo principale, chiudendo il cerchio aperto in “The Bone Orchard”, la bellissima dea nera rimane momentaneamente estranea a quello che accade al resto dei personaggi.

La sua storia ha tuttavia un forte valore morale, ora che la conosciamo più da vicino: la figura femminile col tempo è stata spogliata della sua connotazione sessuale e l’uomo, bramoso di un potere che mai è riuscito a comprendere, usa la rabbia e la forza per soffocare l’emancipazione che la libertà sessuale porta. Negli anni ’70 a Teheran le atmosfere leggere e promiscue vengono interrotte da fucili e mitragliatori, e la violenza dell’uomo recide la delicata tensione sessuale di cui Bilquis si nutre. Al giorno d’oggi rimane solo un simulacro di  erotismo, e la tecnologia donata dai Nuovi Dei porta con sé un’accezione consumistica del sesso: ricordate la Bilquis di “The Bone Orchard”, fruitrice di app di dating ridottasi a divorare i suoi incontri uno dopo l’altro, come in una catena di montaggio, e mettetela a paragone con i suoi antichi fasti, gloriosa e circondata da vittime sacrificali.

American Gods 1x08 Come To Jesus

La storia di Bilquis, avvicinata dal Tecnofighetto nel momento di disperazione – nonché l’episodio su Vulcano – rende chiara la strategia dei Nuovi Dei: portare le antiche divinità dalla loro parte, donando loro ricchezza e fama attraverso una chiara operazione di rebranding. Siamo nell’era del cristianesimo, e la Pasqua è festeggiata come resurrezione di Gesù, in tutte le sue forme: American Gods è soprattutto blasfemo e dissacrante verso le religioni moderne, ma anche nei confronti della morte e verso la fede dei vivi; le divinità fanno di tutto per ottenere preghiere, sacrifici, e quindi potere, Ostara (la bravissima Kristin Chenoweth) sa che le preghiere non sono più dirette a lei, che le uova e i conigli sono solo un palliativo del passato, che la sua memoria si è persa, dimenticata e contaminata dal marketing moderno.

Mr. Wednesday fa quindi leva sulla vera, potente natura di Ostara e la convince a passare dalla sua parte, a punire gli uomini che non credono più a lei e a disseccare tutte le piante che la circondano nel raggio di migliaia di chilometri. La scena finale, dove la primavera viene sottratta al mondo, è la più spettacolare della stagione, arrivando persino a oscurare la splendida manifestazione del potere di Odino, in un crescendo tumultuoso scandito dalla poderosa voce di Ian McShane.

American Gods 1x08 Come To Jesus

Otto episodi per convincere Shadow a credere e finalmente, dopo resurrezioni, piogge di fulmini e Gesù che pascolano in mezzo a coniglietti bisbiglianti, il protagonista/spettatore crede a Odino, il quale ha tuttavia un conto in sospeso con Laura: dead wife ora sa la causa della sua morte, cosa che probabilmente complicherà il rapporto tra Mr. Wednesday e Shadow nella prossima stagione, gettando un’ombra di sinistra malvagità sul dio ingannatore e complicando per noi la definizione inequivocabile di un villain di serie. Pablo Schreiber ed Emily Browning chiudono in bellezza il proprio percorso, riuscendo a creare una strana coppia, a tratti comica ma con un trasporto emotivo non indifferente, approfondito nell’episodio A Prayer For Mad Sweeney.

A margine si affacciano i Nuovi Dei e la dichiarazione di guerra di Mr. World. A parte la sempre impeccabile Gillian Anderson, questa volta nelle iconiche vesti di Judy Garland in “Ti Amavo Senza Saperlo” (titolo originale: Easter Parade), la compagine avversaria di Odino non convince mai del tutto: il Tecnofighetto riesce a stento a rendersi odioso, riuscendo molto meglio a suscitare pena per il suo atteggiamento infantile, mentre a Mr. World non vengono lasciati abbastanza minuti per figurare come il vero antagonista, nonostante l’evidente carisma mostrato in “Lemon Scented You”.

American Gods 1x08 Come To Jesus

Questa prima stagione è stato in un certo senso un lungo pilot, un sogno rivelatore, e forse già una profezia di quello che vedremo in futuro. “Come To Jesus” ci lascia insoddisfatti perché non risponde a moltissimi interrogativi sorti lungo la stagione, ma ci lascia con un’enorme curiosità per gli eventi futuri. Visivamente, questo season finale di American Gods – diretto da Floria Sigismondi – è un piacere per gli occhi, e sancisce un netto distacco dalle atmosfere oscure a cui Bryan Fuller ci ha abituati, circondandoci di luce e colori più che in tutti gli altri episodi messi insieme; stilisticamente, la creatura di Neil Gaiman è stata stravolta dalla visione di Fuller e Michael Green, ma da seguaci della dea Media non possiamo che esserne più che contenti.

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