La psicostasia, nell’Antico Egitto, era la pesatura dell’anima del defunto: il cuore, la sede dell’anima, veniva posto su una bilancia, e comparato con la piuma di Maat, la Verità. Il terzo episodio di American Gods si apre proprio con Anubi (Chris Obi), che ai giorni nostri fa visita a una signora appena deceduta in un incidente domestico, e la accompagna al giudizio finale.
Il dio sciacallo è uno delle più famose divinità del pantheon egizio, come protettore delle tombe, imbalsamatore e psicopompo, e la sua comparsa per adesso è dissociata dal resto della trama. La scelta peculiare di non far vedere la caduta della donna dallo sgabello è il tocco di eleganza della sequenza, che risulta complessivamente rilassante e armoniosa; una diversa scelta stilistica avrebbe rotto la magia, banalizzando la morte e privandola di quell’aspetto sacro che Anubi le conferisce.
C’è un altro frammento narrativo apparentemente scollegato, e sempre ambientato nel presente: Salim (Omid Abtahi) un uomo d’affari originario dell’Oman, dopo una pessima ed infruttuosa giornata spesa alla ricerca di un contratto commerciale, sale su un taxi e si confida con il tassista. Presto scopriamo che in realtà a guidare il taxi è un Genio (Mousa Kraish) dagli occhi fiammeggianti, che i più attenti avranno riconosciuto comparire nell’episodio precedente, in un veloce e misterioso incontro con Mr. Wednesday.
I due si confidano le proprie sventure, e in seguito finiscono a letto, in un amplesso passionale e mistico, dove l’uomo viene posseduto dal Genio e trasportato in un universo estatico, vivendo sensazioni mai provate prima. Al risveglio il Genio è sparito, e l’uomo d’affari trova i suoi documenti – la foto è quella di un terzo uomo -, gli abiti e la licenza del taxi.
I don’t grant wishes
gli aveva detto il Genio, ripetute come a sfatare una credenza popolare millenaria: ma non è forse questo il desiderio dell’uomo, cambiare vita e ricominciare da capo con una nuova identità?
Nei due racconti è importante denotare come la memoria dei mortali abbia giocato un ruolo fondamentale nella presenza del divino sul suolo americano: mentre la donna immigrata ha portato con sé il ricordo di Anubi fin da bambina, come una lontana preghiera, il ricordo di Salim risale invece al racconto della nonna, che aveva incontrato un Genio in gioventù. Il ricordo quindi è la cosa più vicina al culto e all’adorazione, a cui i vecchi dèi si aggrappano per sopravvivere, cercando di farsi adorare e venerare dagli uomini moderni.
Il tema principale di American Gods è l’imminente scontro tra divinità antiche e moderne: da un lato gli dèi del passato, che faticano a tirare avanti per non essere dimenticati, alcuni persino rassegnati all’inevitabile fine, altri decisi a fare di tutto per trovare adepti; dall’altro i nuovi dèi, nati da poco ma già molto potenti, spavaldi e sicuri della vittoria. Ancora non è dato sapere per quale motivo Shadow sia così desiderato da entrambe le fazioni, ma per adesso sembra parteggiare più per il vecchio Mr. Wednesday.
Il protagonista è un uomo annientato dalla sfiga dal fato avverso, che ha perso tutto e che si trova suo malgrado in mezzo ad una guerra che coinvolge svariate entità sovrannaturali: una persona normale sarebbe già impazzita, eppure qualcosa si nasconde in Shadow, una dote che lo rende appetibile alleato degli dèi, come fosse un eroe omerico contemporaneo.
Il suo incontro di mezzanotte con Zorya Polunochnaya (Erika Kaar) ci rivela un uomo che non crede più in nulla, ma quello che gli sta succedendo intorno lo sta via via spingendo a cambiare idea. Il discorso sul meteo e sull’amore di Mr. Wednesday è illuminante, per non parlare dei vari Gesù che ogni popolazione si è portato appresso nel Nuovo Mondo: è quello in cui credi che ti dà una spinta ad esistere, che genera il dio e che ne costituisce la forza. Non solo, Mr. Wednesday fa una sottile critica al modo in cui l’uomo fabbrica divinità secondo la sua percezione, etnia e condizione soggettiva.
Convincersi di essere riuscito effettivamente a far nevicare gli risulterà via via più facile, e ritrovarsi la moglie morta che lo aspetta in camera seduta sul letto lo aiuterà ad aprire di più i suoi orizzonti. La moneta presa dalla luna da Zorya Polunochnaya porta lo stesso cognome di Shadow, e dovendo aggiungere una seconda coincidenza, il protagonista ha perso la moneta del Sole di Mad Sweeney – che la cerca disperatamente – in grado presumibilmente di rianimare Laura: è ancora poco chiaro se questa dualità avrà un ruolo nella storia, ma è di fatto inevitabile non notarla.
American Gods continua dunque ad incantarci, e questo episodio ci convince al 100%, grazie ad un Bryan Fuller che sa sempre dare al suo pubblico senza tralasciare suggestioni ed elementi onirici di grande effetto. Sotto alla superficie, un racconto di divinità e uomini apparentemente distanti, in realtà collocati sullo stesso piano nella lotta per la sopravvivenza, e accomunati da desideri, passioni e sentimenti.
Visto anche il terzo spettacolare episodio di #AmericanGods. Ma continuo a non capirci un cazzo.
— Gianluca Di Tommaso (@gditom) May 16, 2017
"give me my coin, cunt" quant'è bravo Pablo Shreiber a insultare la gente #AmericanGods
— camilla (@whatsernickname) May 15, 2017
Alla terza puntata #AmericanGods ci regala una scena di sesso meravigliosa e si conferma serie bomba
— Lon Dodrigo (@verderameblu) May 15, 2017