Altered CarbonSeason 1: quando l’Anima diventa digitale

Nel nostro recap di Altered Carbon, senza spoiler, proviamo a capire cosa ci è piaciuto e cosa no. In un mondo futuristico in chiave distopica - con forti connotazioni cyberpunk - l'anima è diventata digitale e il corpo assolutamente "accessorio" e rimpiazzabile. Inutile specificare le conseguenze. La nuova serie Netflix ha provato coraggiosamente a lanciarsi in un genere che ultimamente non ha avuto molta fortuna. Siete curiosi di scoprire se ci sono davvero riusciti?

8.0

Where is the voice that said altered carbon would free us from ourselves, from our flesh? The vision that said that we could be like angels? Instead, we became hungry of all the things reality can’t offer.

Il desiderio di immortalità è l’unica moneta che conta. L’identità non è più un valore ma qualcosa di scomodo per chi vuole cambiare costantemente “custodia” e svecchiarsi, diventare più alto, più bello, uomo o donna. L’essenza, la pura coscienza, s’è trasformata in un ammasso di dati caricati in una sorta di hard disk impiantato nella nuca di ciascuno – una pila corticale – e la digitalizzazione di ciò che i Neo-Cattolici chiamano Anima è il futuro. Signori, benvenuti nel mondo in salsa cyberpunk di Altered Carbon, l’ultima fatica di Netflix che abbiamo guardato per voi in un binge-watching serrato. Volete sapere se vale o no il vostro tempo? Vi spieghiamo tutto in queste righe. Senza spoiler, ovviamente, altrimenti che gusto ci sarebbe?

Fanta-flop

No, con questo titolo non stiamo parlando della serie in oggetto. Ma diciamolo, le serie di fantascienza – soprattutto con tematiche cyberpunksono un genere complicato da gestire. Lo dimostra l’andamento del mercato, del piccolo e grande schermo, che ci porta facilmente a tracciare un paio di calcoli: quando Netflix ha deciso di chiudere Sense8 dopo due stagioni – una serie di fantascienza, anche se è riduttivo etichettarla in quel modo – l’ha fatto principalmente per problemi di budget. Si vocifera che ogni episodio arrivasse a costare, mettendo insieme il cachet, le location e gli effetti speciali, più o meno 9 milioni, una cifra esorbitante se pensiamo che è  all’incirca il budget di Game of Thrones. Dunque basta, casa Netflix ha chiuso i rubinetti concedendo al pubblico inviperito solo uno speciale a conclusione di qualcosa che altrimenti lasciare incompiuto sarebbe stato criminale. A dir poco.

Ma il “problema” della fantascienza non si ferma certo qui: il fallimento prosegue, sul grande schermo, con i poco consolanti numeri al box office totalizzati da Valerian (l’ultima fatica tratta da una serie di fumetti di Luc Besson) e Blade Runner 2049, che ha tentato la coraggiosa impresa di riprendere il mondo dei Replicanti e portarlo un po’ più in là. Forse proprio agli occhi del pubblico più giovane, che magari Blade Runner manco l’ha visto. Questi flop – e potremmo citarne altri – indicano piuttosto chiaramente che il problema è di genere, non di prodotto. A meno che non ci si appoggi a un franchising collaudato (qualcuno ha detto Star Wars o Black Mirror? Non apriamo questa parentesi), è ormai improbabile che la fantascienza faccia presa al di là della nicchia di fedeli appassionati del genere.

Altered Carbon fa i compiti e li fa anche bene; l’universo costruito è credibile, vivo e pulsante, splendido da guardare.

Ed è proprio in questo limbo che s’inserisce Altered Carbon, coraggiosamente, scodellando dieci episodi del cyberpunk più puro, distillato in tutta la sua essenza: violenza gratuita, nudità gratuita – in abbondanza – e trash gratuito, dove tocchiamo delle punte, o abissi a voi la scelta, davvero importanti. Non sembrano esserci vie di mezzo, nel futuro distopico di un genere nato da un gioco di ruolo cartaceo e affermatosi nella branca della fantascienza con uno stile a dir poco roboante. Più o meno è quello che succede anche in questa serie, con una sola differenza – che poi è, forse, una delle questioni che non convincono fino in fondo: il citazionismo.

Un po’ di questo e un po’ di quello

Il citazionismo, come si diceva, è davvero smaccato; può piacere o no, certo, ma sembra quasi che la serie non sia stata in grado di costruire un universo narrativo credibile in maniera autonoma. Intendiamoci, non sono citazioni fatte a caso o fatte male – che sarebbe stato molto peggio; il taccuino (Blade Runner), le intelligenze artificiali che s’interrogano sull’umanità e cosa significhi essere tali (Io, Robot), la divisione in caste tra chi si può permettere di comprare una custodia costosa e avere una vita praticamente immortale contrapposto a chi deve appoggiarsi allo stato e finire escluso da tutto (Gattaca). E potremmo citare anche Matrix – chi indovina per cosa? –  o Minority Report per la parte crime, che ha un grande risvolto in questa storia, o addirittura lo stesso Star Wars per la Resistenza di Falconer e degli Envoys – spazzata via senza troppi problemi dall’Impero. E non è un gioco di parole, dato che la stessa leader della Resistenza spiega di come abbia contribuito a costruire ciò che all’epoca ha fatto dilagare l’Impero di Roma: strade. Non vi diremo se metaforicamente o meno, perché non stiamo facendo spoiler, ma il succo è sempre quello.

Insomma, Altered Carbon fa i compiti e li fa anche bene; l’universo costruito è credibile, vivo e pulsante, splendido da guardare. Il comparto tecnico e l’alto budget della serie sono i due aspetti principali che contribuiscono a rendere questa serie una piccola perla, perlomeno dal punto di vista della mera fruizione visiva. Luminoso eppure cupo, pieno di flash e luci, una fotografia che lo rende quasi un noir ancora più nero del mondo perennemente piovoso già visto proprio in Blade Runner, là dove si mischiano lingue e culture in un calderone senza senso. Questo perché in un futuro così, dove la morte non esiste più e l’identità del singolo può essere letteralmente divisa in due I.D.U., nulla ha più senso. Non per davvero. Il fatto che Altered Carbon tocchi tutti i topoi – e i clichè, certo – della fantascienza tradizionale forse stona un po’: è fin troppo preciso nel non lasciarsi sfuggire nulla, non ha novità, non ha guizzi particolari. Si tirano in gioco persino gli innesti bio-meccanici, altrimenti non era abbastanza cyberpunk. Quindi sì, è bravo. Troppo bravo.

Dentro la storia

Dal punto di vista della sceneggiatura e dei protagonisti – quindi passiamo al software, appurato che l’hardware è una macchina di tutto rispetto – arriva qualche nota dolente. Il libro da cui è tratto (Bay City, di Richard K. Morgan) è il primo di una serie dedicata a Takeshi Kovacs, questo marcantonio metà slavo e metà giapponese con un passato da Combattente prima del Protettorato e poi della Resistenza che è stato assoldato da un ricco Mat – i matusalemme, quelli che possono permettersi di vivere più a lungo – per indagare sul proprio omicidio. O meglio, quello che lui definisce tale ma che fa sospettare delle dinamiche molto più banali. Precisiamolo, colui che ha assunto Kovacs l’ha letteralmente “scongelato” dopo 250 anni di reclusione, impiantando la sua pila corticale in una custodia presa più o meno a caso – molto meno che più, ma vedrete. In realtà, Kovacs finirà – ripercorrendo con noi il suo passato – per essere invischiato in un viaggio senza sosta nell’anima più lurida e corrotta di una città che striscia sotto coloro che vivono tra le nuvole, come Dei, incuranti delle leggi e di ciò che significhi ancora “essere umani”. Quando puoi potenzialmente vivere per sempre, le altre creature diventano semplicemente delle custodie, e nulla più.

Ora, la trama è – senza troppi giri di parole – piuttosto banale; e non perché non ci siano colpi di scena o risvolti interessanti, ma perché non ha nulla di nuovo e ha un villain che lascia abbastanza perplessi. Il resto dei personaggi, dai comprimari ai protagonisti, è credibile e ben inserito nel contesto in cui si svolge la storia. Joel Kinnaman interpreta bene la parte del protagonista – e, ammettiamolo, metà del lavoro lo fa la sua notevole presenza fisica, che rende reali gli elementi di pura azione; meno interessante la sua performance quando la trama richiede un approfondimento psicologico più drammatico, rendendo il suo personaggio forse fin troppo preda del cliché “tormentato ma dal cuore grande”. La sua partner, Kristin Ortega (Martha Higareda), è la classica poliziotta tutta d’un pezzo con una storia d’amore pronta a partire – e non è spoiler se vi diciamo che parte più o meno subito, ma non riveliamo con chi.

Quindi, cosa si può dire in conclusione? Altered Carbon merita una visione? Sì. È raro ma piacevole assistere a una serie tv che entra a gamba tesa e non si preoccupa di essere così vergognosamente pulp, oltre che noir. La storia non è altro che questo, se ridotta all’osso: un noir decisamente cupo con un detective fuori dagli schermi e una partner altrettanto bizzarra, uno show che è in grado di passare a battute piuttosto fiacche (citiamo “Certe persone meritano solo di morire”) a dialoghi molto più indovinati. La risoluzione finale è piuttosto confusa e in un noir questo non dovrebbe accadere – gli indizi dovrebbero essere sparsi meglio, come sassolini, senza farti perdere di vista il quadro generale e senza distrarti troppo. Con tutti i suoi flash, neon e trash più o meno indovinato, la serie tira i fili in modo aggrovigliato e quasi romantico; e in una storia così cupa non può che ricordarci, ancora una volta, Blade Runner.

Ogni recensione, senza stare a specificarlo, è soggettiva. E chi scrive confessa che Altered Carbon l’è piaciuto, parecchio. Ma se dovesse rispondere alla domanda classica, ovvero “ha soddisfatto le tue aspettative?” sarebbe un no. No, non è stato esaltante quanto prometteva. Non è un capolavoro, certo, ma se vi piace vedere una storia che ha il coraggio di essere così visceralmente cyberpunk, questo è lo show che fa per voi.

Porcamiseria
  • 7/10
    Storia - 7/10
  • 9/10
    Tecnica - 9/10
  • 8/10
    Emozione - 8/10
8/10

In breve

La prima stagione di Altered Carbon intrattiene quanto basta, con una storia che non si fa mancare i colpi di scena ma scorre senza troppi scossoni. Fosse stata più coraggiosa su alcune scelte, il voto sarebbe stato più alto. Il cyberpunk regala un tocco di coraggio, dando un risvolto marcatamente pulp al noir di cui è ammantata la vicenda. Da sottolineare le continue citazioni al genere: possono piacere o non piacere, ma di sicuro sono azzeccate. Il finale aperto propone spiragli per altre vicende. Se lo meriterà? Al pubblico l’ardua sentenza.

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Effettivamente:

L’apoteosi del trash:

Facciamola diventare legge:

Sintesi:

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Porcamiseria

8

La prima stagione di Altered Carbon intrattiene quanto basta, con una storia che non si fa mancare i colpi di scena ma scorre senza troppi scossoni. Fosse stata più coraggiosa su alcune scelte, il voto sarebbe stato più alto. Il cyberpunk regala un tocco di coraggio, dando un risvolto marcatamente pulp al noir di cui è ammantata la vicenda. Da sottolineare le continue citazioni al genere: possono piacere o non piacere, ma di sicuro sono azzeccate. Il finale aperto propone spiragli per altre vicende. Se lo meriterà? Al pubblico l'ardua sentenza.

Storia 7 Tecnica 9 Emozione 8
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