Ve lo dico subito: questa puntata di Agent Carter è stata sensazionale: la Marvel ha confezionato un piccolo gioiello del genere spionistico e, come avevo anticipato settimana scorsa, ha iniziato a tirare i fili della trama che, tra soli due episodi, arriverà alla sua conclusione.
Attenzione: sembra scemo preannunciarlo, lo so, ma tutto ciò che segue è SPOILER, pensa un po’ .
Archiviata la missione in Russia, nella tana di Leviathan, l’azione si sposta di nuovo a New York.
Dopo aver interrogato lo psichiatra russo Ivchenko, salvato nell’episodio scorso, Peggy ottiene dal capo Dooley, seppur a fatica, il permesso di seguire la sua personale pista investigativa: secondo Peggy, infatti, la spia russa è una donna, e va cercata tra le – innumerevoli, manco a dirlo, perché la genetica non è un’opinione – conquiste amorose di Howard Stark.
Ovviamente, noi sappiamo bene che la nostra agente preferita ha ragione: la psicopatica russa Dottie infatti continua la sua missione sotto copertura, che prevede di assassinare Ivchenko che nel mentre sta collaborando con l’SSR.
O almeno così sembra.
Qua, infatti, arriva il grande colpo di scena dell’episodio: anche Ivchenko è una spia di Leviathan, infiltrato per sottrarre ai laboratori dell’SSR le armi di Stark. Perciò, ipnotizza l’agente Yauch per farsi rivelare la location esatta – l’accesso esclusivo però è di Dooley – e poi lo induce al suicidio. Difficilmente sentiremo la sua mancanza però, eh.
Questo colpo di scena – che, ammetto, mi ha davvero colpito: mi aspettavo che lo psichiatra morisse con un proiettile ficcato in testa – è stato possibile fondamentalmente perché tutto l’SSR era impegnato in un’altra missione: catturare l’agente Carter.
Già, perché l’agente Sousa ha rivelato le sue scoperte (i due nei sulla spalla, ricordate?) a Dooley, il quale ha ordinato a tutti gli agenti di concentrarsi sulla cattura della traditrice.
Inizialmente, Carter e Jarvis – tornati a collaborare per cercare l’agente Leviathan tra le spasimanti di Stark – riescono a fuggire (sulle note di It’s a good day, scena fantastica) procurando un bell’ematoma a Thompson. Successivamente, però, nel tentativo di recuperare la fiala di sangue di Captain America dal muro della sua stanza al collegio, Peggy viene intercettata da Dottie, che la stende con un bacio avvelenato. Thompson e Sousa, però, arrivano giusto in tempo per evitare che venga uccisa e la arrestano, portandola all’SSR per l’interrogatorio.
Tutta la parte dell’inseguimento e cattura dell’agente Carter è strutturata incredibilmente bene: dall’amica di Peggy che scopre il suo vero lavoro e sfodera tutte le sue doti di attrice per salvarla, al momento di esitazione di Sousa – evidentemente affezionato a Peggy ben oltre il normale rapporto di lavoro – che prova a darle l’ultima possibilità di costituirsi, fino ad arrivare alla bravura di Bridget Regan nel conferire al personaggio di Dottie un’aura veramente inquietante da pericolosa psicolabile.
L’unica parte che mi lascia un po’ perplesso è la reazione fredda e impassibile di Thompson: fino all’episodio scorso abbiamo tutti scommesso sull’attrazione fatale tra i due (o quantomeno di lui nei confronti di lei), mentre ora non fa una piega quando si trova nella posizione di doverla arrestare. Per quanto ligio al dovere, mi sembra un comportamento forzato visti i recenti sviluppi del personaggio.
Come dicevo in apertura, un episodio brillante, che più di altri si concentra sulla vena spionistica della serie e che mantiene alta la tensione, un episodio in cui succede apparentemente poco in termini assoluti ma che invece progredisce parecchio sulla trama generale preparando alla perfezione il terreno per i due episodi finali, in cui finalmente speriamo di scoprire la vera natura di Leviathan. Quattro porcamiseria meritatissimi.
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