3%Season 1 Recap: Il Prezzo della Disuguaglianza

Nell'universo distopico di 3%, Pedro Aguilera e Netflix ci presentano le estreme conseguenze di un problema reale e attuale: la grave disuguaglianza economico-sociale che spacca il mondo in due emisferi, tra un 3% di super ricchi e un 97% di super poveri. Un tema già sviscerato in passato, ma qui rappresentato con nuove e coinvolgenti sfumature.

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La trama della nostra esistenza è stata un anno fa sconvolta dalla notizia secondo cui l’1% della popolazione mondiale detiene una ricchezza pari alla somma di quella del rimanente 99%. Il fatto ancora più scioccante è la tendenza entro cui tale sperequazione socio-economica si muove, e continua a crescere. Se nel 2010 erano 388 i Paperoni che si spartivano il potere economico del nostro pianeta terra, nel 2015 erano solo 62. Ora è probabile che qualche Paperone si sia trasformato in un più misero Rockerduck e che, a una mancata inversione di tendenza, entro il 2020 l’esclusivo club del potere conterà solo 11 membri.

Si fosse svolta qui nel nostro universo, 3% titolo che, come ora avrete capito, si riferisce alla risicata quantità di persone che nel suo universo fittizio detiene praticamente tutta la ricchezza, il benessere e l’agio del pianeta – l’avremmo quindi intitolata 1%, e poiché l’idea originaria della serie risale al 2011 (quando il primo episodio pilota venne pubblicato indipendentemente su Youtube), oggi potremmo persino considerare Pedro Aguilera un inguaribile ottimista.

3%: tra fede, merito e rivoluzione

In modo certamente più netto rispetto al nostro, dove ancora permane una parvenza di ceto medio, il mondo di 3% è diviso tra ricchi, che vivono nell’Offshore (riferimento ai paradisi fiscali? Direi di sì), e poveri, che sono relegati in un’enorme favela chiamata Inland.

Tuttavia, c’è un modo per i disgraziati favelados di passare al better side, dove la gioia regna sovrana: tutti gli abitanti dell’Inland, compiuti vent’anni, hanno infatti la possibilità, l’unica in tutta la loro vita, di abbandonare la povertà e di guadagnarsi l’accesso al lato better della forza.

3% season 1 recap serial freaks recensione

Come? Partecipando a un vero e proprio processo di selezione sociale, chiamato semplicemente «Il Processo» e che rappresenta la colonna narrativa portante della serie. Il Processo è stato creato dai due Fondatori, gli stessi demiurghi che hanno dato vita all’oasi Offshore e a questa tirannide mascherata da oligarchia.

Gli abitanti dell’Inland sono talmente disperati che non solo venerano i due Fondatori come divinità, ma considerano anche il Processo come uno strumento della Provvidenza in cui sperare, se non per il proprio, almeno per il futuro dei loro figli.  Emblematico in tal senso è il padre di Fernando, uno dei giovani protagonisti, che è un fervente predicatore della fede nel Processo e nei Fondatori.

Lo stesso Fernando, costretto su una sedia a rotelle, durante il processo, matura un grave conflitto interiore che mette in crisi la sua fede nel Processo, preferendo seguire l’amore per Michele e per questo venire eliminato. Lei è la vera protagonista del racconto, nonché il primo personaggio che si incontra e attraverso i cui occhi lo spettatore vive la drammatica evoluzione del Processo.

Il percorso di selezione è ideato e supervisionato da Ezequiel, un uomo, si conceda la battuta, totalmente immolato alla Causa. Glaciale, calcolatore e in possesso di un carisma da gerarca nazista, egli ha, insieme alla moglie, il merito di aver inventato il claim della perfetta macchina di selezione: «You each create your own merit».

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Il merito è peraltro il fulcro concettuale dell’intera narrazione. Il processo di selezione avviene infatti attraverso delle prove logiche, fisiche, comportamentali e di gruppo a mano a mano sempre più dure e volte a testare, attraverso ignoti parametri di valutazione, le abilità dei partecipanti. Solo il 3% di loro potrà superare il processo: ossia quel manipolo di ragazzi che, secondo il giudizio della Ezequiel & Associati, incarnano la parte forte, sana e intelligente dell’umanità.

Da qui si deduce la prima accezione negativa e distorta del termine «merito» che viene dunque utilizzato in termini eugenetici, piuttosto che morali. «Furbizia», «astuzia» e «violenza» sono infatti considerati da Ezequiel eccellenti sinonimi di «merito».

Non solo: prima ancora di prendere parte alla selezione vera e propria, i potenziali concorrenti devono affrontare un colloquio conoscitivo in cui il proverbiale «le faremo sapere» sta a significare «A mai più rivederci». Cosa non troppo lontana dalla realtà, in effetti, in una metafora del Processo vista come la versione più spietata e cruenta della vita da stagista.

Non c’è però autorità senza resistenza: il modello di civiltà ideato dai Fondatori, perfettamente organizzato in un geometrico ordine bipolare, costantemente riequilibrato attraverso un mostruoso processo di selezione sociale, è messo in discussione da un gruppo rivoluzionario/terroristico conosciuto come «La Causa». Questi ribelli vogliono sovvertire lo status quo e abolire il confine che separa benessere e degrado, infelicità e felicità, Inland e Offshore.

3% è pura distopia? 

Dato che per ora la serie non lo specifica – né lo smentisce – al di là delle chiare somiglianze urbanistiche, si può ipotizzare che 3% non sia ambientata in Brasile, ma fra le macerie di quel che resta del mondo contemporaneo. Questo perché forse l’intenzione non era quella di dimostrare la particolare condizione di ingiustizia sociale brasiliana, ma più icasticamente quella di un mondo dove il coltello della disuguaglianza ha tagliato la torta dell’intera società in sole due fette: una piccolissima ma ricca di panna montata e un’altra enorme ma priva di canditi e zucchero.

Data la sua esasperazione apocalittica e futuristica, 3% rientra appieno nella definizione di distopia, senonché il tema-problema affrontato dalla serie è già oggi effettivo, presente e urgente, nonostante le tinte meno drastiche. Il nostro 1%, reale e tangibile, fa quasi pensare che la vera distopia la stiamo vivendo noi proprio adesso; non siamo certamente in una serie TV, ma se lo fossimo, e se qualcuno sta comodamente guardandoci dal divano, mi auguro che la storia sia di suo gradimento e che gli vada un pop-corn di traverso.

Più ad ampio spettro, il 3% fittizio e il nostro 1% sono quello che l’economista Joseph E. Stiglitz sintetizza in «Il Prezzo della Disuguaglianza». È un fenomeno in atto che la geologia economica sta studiando e che, secondo i più pessimisti, porterà all’assottigliamento del continente della media ricchezza e all’accrescimento degli altri due continenti, ricchezza e povertà. Questa teoria prevede che i pochi ricchi rimarranno tali e diventeranno ancora più ricchi, mentre i tanti poveri diverranno ancora più numerosi e più indigenti. Insomma, viviamo su un pianeta dove, secondo il rapporto Oxfam: «Potere e privilegi sono strumenti usati per condizionare il sistema economico e allargare il divario tra chi è ricco e chi non lo è». Giacché in paesi come il Brasile tale processo è molto più lampante che altrove, ambientare il racconto in una pseudo-favela significa perciò palesare il legame che contesse finzione e realtà, distopia e attualità.

in 3% la costruzione dell’identità dei protagonisti è strettamente legata alla terribile condizione sociale e politica da cui cercano di evadere

Quella di 3% è una cacotopia differente da quella rappresentata dall’universo di Black Mirror, dove si mostra la degenerazione più paranoica, spietata e apocalittica a cui le tecnologie contemporanee potrebbero condurci. In generale, Black Mirror tende più verso la fantascienza (seppur non esageratamente fantascientifica), mentre 3%, per tutto quello che si è detto fin qui, rimane entro un panorama più prossimo delle probabilità, più realistico e immediato.

Tirare in ballo il classico Hunger Games è solamente fuorviante e inutile: a livello di contenuti possiamo divertirci a trovare tutte le somiglianze possibili, ma ciò che però determina una frattura insaldabile tra le due opere si svela a livello di concetto. Da questo punto di vista, una maggiore coincidenza d’intenti si può riscontrare tra il Processo e il parco divertimenti di Westworld, poiché i protagonisti di entrambe le opere non rappresentano nulla di eroico o di epico (al contrario di Katniss Everdeen). Il Processo, come il parco giochi del Dottor Robert Ford, porta il personaggio a conoscere se stesso e, attraverso un drammatico percorso di discesa nel proprio inferno interiore, a scoprire la sua più torbida e profonda coscienza. Chiaramente però, a differenza dell’allucinata creazione di Jonathan Nolan, dove la narrazione fa del problema identitario un onirico e cervellotico gioco psicologico, in 3% la costruzione dell’identità dei protagonisti è strettamente legata alla terribile condizione sociale e politica da cui cercano di evadere.

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Per chiudere il cerchio, altro punto di forza di 3% sono proprio i suoi protagonisti che, trattandosi di personaggi a tutto tondo, sono caratterizzati da una profondità tale da rendere imprevedibile la loro metamorfosi durante il racconto. Oltre a Michele, Fernando ed Ezequiel, il cast di protagonisti comprende anche Rafael, Marco e Joana, costituendo a tutti gli effetti una narrazione corale che, ricca di storie, rivelazioni e twist, riesce a coinvolgere immediatamente lo spettatore con il suo ritmo incalzante.

3% merita la nostra approvazione, consigliatissima a tutti i ricercatori di una nuova serie su cui spendere ore di bingewatching, con 4.5 Porcamiseria su 5.

L’altro 0,5 lo risparmiamo in vista della già confermata seconda stagione, che speriamo si mantenga su questi livelli.

4.5

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