13 Reasons Why1×01 Tape 1, Side A

Series Premiere La nuova produzione di casa Netflix è pronta a tenerci con il fiato sospeso, mentre ci porta in un viaggio cupo e pericoloso nel mondo dei teenager americani, attraverso la voce registrata di Hannah Baker, suicidatasi per ragioni misteriose. Le audiocassette che fa recapitare al suo compagno di scuola, Clay Jensen, non solo sono la chiave per scoprire la verità circa la morte di Hannah, ma anche il pretesto per raccontare le nuove generazioni nel modo più crudo e realistico che ci sia, esaltandone i valori e denunciandone contemporaneamente le contraddizioni.

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Parlare ai giovani dei giovani rappresenta sempre un salto nel vuoto: il rischio di sbagliare il colpo, di non comprendere la fluidità e il dinamismo delle nuove generazioni e, dunque, di minimizzare le loro questioni, è costantemente in agguato. Eppure, sembra partire con il vento in poppa la nuova produzione di casa Netflix, l’attesissima 13 Reasons Why, una serie adattata dall’omonimo romanzo di Jay Asher, pubblicato in Italia con il titolo Tredici nel 2008. Ma la premessa è certamente doverosa: chi scrive non ha letto il romanzo, motivo per cui le recensioni saranno solo ed esclusivamente basate sulla trasposizione televisiva e la sua originalità, più che sulla coerenza e la fedeltà al materiale di partenza.

La trama e il concept della serie, e dunque del romanzo, sono sin da subito estremamente intriganti: una liceale americana, Hannah Baker, si è suicidata, lasciando l’istituto che frequentava in una cupa atmosfera di tragicità e drammatico perbenismo. Mentre le autorità scolastiche cercano delle risposte all’interrogativo circa le motivazioni che hanno portato la ragazza all’atto estremo, a trovarle è Clay Jensen, compagno di scuola di Hannah e, forse, suo amico. Nel momento in cui decide di ascoltare le 7 audiocassette numerate che gli sono state recapitate via posta, infatti, il ragazzo intraprende un viaggio pericoloso e potenzialmente devastante nella vita della defunta, scoprendo gli oscuri retroscena e le tristi verità che hanno condotto alla sua morte e, soprattutto, il suo ruolo all’interno di questa tragedia.

Get a snack, settle in. Because I’m about to tell you the story of my life. More specifically why my life ended. And if you’re listening to this tape, you’re one of the reasons why.

Questa trama dal forte sapore di thriller psicologico parte già dal pilot, in seguito ad una breve contestualizzazione della vicenda e una presentazione rapidissima dell’ambientazione e dei protagonisti. Ma 13 Reasons Why non è solo thriller, non è solo brivido della scoperta e ansia di premere “play”; è anche una serie improntata sul teen drama più classico, sulle orme di pellicole come High School Musical o telefilm come Glee – anche se senza musica, per fortuna. Le due tendenze sono perfettamente equilibrate sin dalle prime scene e continuano ad esserlo per tutta la durata dell’episodio, mentre si contaminano a vicenda per analizzare il mondo dei giovani, con le sue contraddittorie problematiche, nella maniera più fedele e realistica possibile, condendo il tutto con un sentimento di timore ed ansia che rende la rappresentazione più avvincente, ma non per questo meno vera.

Si può inoltre toccare con mano la complessità della struttura e della trama orizzontale della serie, che conta un numero di personaggi molto cospicuo che risulta anche in una fitta rete di background e storyline: a sbrogliare questa matassa è però l’organizzazione degli episodi, che seguono la meticolosa scansione delle audiocassette di Hannah. Proprio per questo, anche la conoscenza dei personaggi sembra essere graduale e centellinata, con la presentazione in questo pilot dei due protagonisti e un quadro abbozzato di un altro paio di compagni di scuola.

L’ispirazione ad altri prodotti prettamente di stampo teen drama o young adult è evidente anche nella caratterizzazione dei vari personaggi, che, almeno all’apparenza, sembrano stilizzati e non troppo audaci nella scrittura, ma che non per questo risultano poco interessanti o macchiettistici. Clay, ad esempio, è la perfetta incarnazione del ragazzo da parete, con alcuni tratti spiccatamente nerd molto godibili; proprio per le sue insicurezze e per i suoi atteggiamenti schivi ed asociali, il rapporto di empatia tra lo spettatore e il personaggio è pressoché immediato. O, forse, è merito anche della forte analogia che si instaura tra i loro ruoli, dal momento che Clay costituisce soltanto il secondo livello della narrazione: anch’egli, pertanto, è osservatore inerme e timoroso di una storia che non sa cosa lo potrebbe portare a scoprire, sia sugli altri che su se stesso, e si distingue dal serial freak dall’altra parte dello schermo soltanto per il mezzo utilizzato.

Per quanto riguarda la voce narrante principale, Hannah, abbiamo un altro personaggio molto complesso ma apparentemente stilizzato: si tratta di una ragazza eccentrica, quasi una drama queen, che, seppur considerata stramba e per questo esclusa da alcune dinamiche sociali del liceo, non si fa problemi a osare con ragazzi ed amici, sfoggiando continuamente la propria visione del mondo inedita e peculiare. Tali caratteristiche raggiungono l’apice proprio nella decisione pre-mortem dell’adolescente di registrare le famigerate audiocassette d’accusa, come se non volesse che il suo suicidio venga considerato solo l’ennesimo atto disperato e folle di una gioventù che ancora non ha imparato ad affrontare la vita.

L’approfondimento dei personaggi, che di certo non si riducono agli stereotipi che abbiamo delineato finora, è di certo il modo più evidente per fornire agli spettatori – che si ipotizza essere piuttosto giovani – qualcosa in cui rispecchiarsi, una serie da cui sentirsi compresi, piuttosto che denunciati. Le malcelate debolezze di Hannah e il suo desiderio di rottura con la società finta e piena di facciate di cartapesta in cui vive, così come la timidezza di Clay o la spavalderia di Justin, sono in questo episodio il punto di partenza per raccontare – e solo in alcuni casi rimproverare – la quotidianità e i sentimenti più preponderanti ed esclusivi delle nuove generazioni, affrontando temi a loro molto vicini: una missione, questa, che presumibilmente 13 Reasons Why continuerà a perseguire anche nei prossimi episodi, adempiendo ad un ruolo che va ben oltre l’intrattenimento caratteristico del genere thriller.

Dal punto di vista tecnico, il pilot è assolutamente impeccabile. La freschezza e il realismo della scrittura e della reinterpretazione sono sicuramente merito non solo del romanzo originale, ma anche di uno staff di produttori molto vicino al mondo dei giovani e che annovera tra i suoi membri anche nomi iconici, come quello di Selena Gomez. Altra punta di diamante è senz’altro l’estetica, frutto della regia astuta e professionale che ormai – quasi – solo una serie Netflix riesce a regalare: la prevalenza di colori pastello e di primi piani, la fotografia intensa, il montaggio cauto ma altalenante tra i diversi piani temporali, la normalità dei vestiti e degli ambienti sono il più gradevole spioncino di una grande attenzione tecnica e stilistica. Sulle prove attoriali, per il momento, occorre invece sospendere il giudizio, dato che solo pochi membri del cast hanno avuto modo di risplendere, ma di certo ciò che abbiamo potuto intravedere non lascia delusi, a dispetto delle paure circa la giovane età della maggior parte di loro.

Il massimo dei voti è dunque pienamente meritato da questo primo episodio di 13 Reasons Why, che, con una ricchissima lista di temi cui attingere e un nobile quanto necessario intento di descrivere la quotidianità dei giovani sia a livello scolastico che sociale, colpisce esattamente nel segno, attirando sempre di più sulla serie l’attenzione del pubblico televisivo, che si sente costretto a guardare voracemente le puntate una dopo l’altra, allo stesso ritmo con cui le audiocassette di Clay si succedono nel suo lettore.

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